L’ intervista a Stefano Cerati per il suo volume “Black Sabbath, Masters of Reality”, per Tsunami Edizioni, è d’obbligo, visto che ho avidamente letto la sua analisi sui dischi, la musica e i testi dei Sabbath dal 1969 al 1978. Il testo offre molte informazioni le quali sono il risultato di un’attenta indagine e riflessione che portano ad un nuova interpretazione sulla band. L’intervista approfondisce proprio quelle analisi e ci presenta la brillante figura dell’autore, il quale fornisce un ritratto di prima mano dei quattro di Birmingham che ha personalmente conosciuto.

Perchè scrivere un testo sui Black Sabbath e concepirlo come un’analisi delle singole canzoni?
La risposta è semplice. Scrivere un libro come questo per me è stato un atto d’amore e di riconoscenza verso una grande band con cui sono cresciuto. Ci sono diverse biografie dei Black Sabbath, sia in italiano che in inglese, e quindi non aveva senso scriverne un’altra ripetendo sempre le stesse cose. Per me aveva più senso analizzare a fondo le canzoni della band e rendere loro giustizia. I Black Sabbath sono sempre stati male interpretati. La gente comune crede che siano satanisti solo perché hanno scritto canzoni dove compare il diavolo (poche peraltro, solo quattro). Ma i Black Sabbath non erano più satanisti di quanto lo fosse il registra de L’esorcista, Dario Argento o lo stesso Dante Alighieri. I loro sono piccoli racconti horror visti in chiave sovrannaturale con molti elementi di spiritualità, e una forte coscienza sociale dei propri tempi. Quindi solo analizzando testo per testo possiamo capire ciò i Black Sabbath volevano realmente dire.

“Masters of Reality” prende in esame il periodo d’oro dei Black Sabbath, quello del 1969-1978 cioè l’era della formazione originale. Il testo è strutturato seguendo l’ordine della discografia. Ogni capitolo ha un commento introduttivo, poi il testo originale, la traduzione e il commento, il quale in genere è di poco meno di una pagina a poco oltre, una e mezza al massimo. Questa modalità, che presumo sia stata un’esigenza editoriale, ha permesso di evidenziare gli aspetti più interessanti delle canzoni?
Voleva essere un libro di facile lettura, non un’esegesi critica verso per verso dei testi. Quindi ho cercato di combinare l’esame delle cose più interessanti, cercare di carpire il senso del testo e soffermarmi sulle curiosità, e ce ne sono molte, piuttosto che su un’analisi minuziosa e verbosa che avrebbe potuto risultare pedante. In fondo si parla di rock’n’roll. Io stesso ho avuto modo di rileggere il libro finito un paio di volte ed è una lettura che si può fare un giorno solo senza sforzo.

L’imamgine dei Sabbath è sempre stata abbinata all’esoterismo, tu esaminando tutti i testi ne hai evidenziato i significati e provenienze e conseguentemente smontato questa concezione. Però sulla figura del Diavolo che idea ti sei fatto? Io leggendo le tue riflessioni ed analisi ho visto il Diavolo dei Sabbath come il simbolo dell’incertezza dell’uomo o delle sue incapacità e debolezze anche.
Il diavolo è una figura molto forte nella musica, da sempre. Fin da quando ne parlavano i bluesman del delta degli anni 20 e 30, su tutti Robert Johnson che si diceva avesse fatto un patto col diavolo vendendo la propria anima in cambio di suonare la chitarra come un dio. Era una maniera per esorcizzarlo, per allontanarlo dalla propria vita. Ma al tempo stesso il diavolo è anche il simbolo del rock, della rivoluzione. Lucifero che si rivolta a Dio è il primo esempio di contestatore controcorrente ed è un ruolo che si presta egregiamente al rock ed ovviamente anche ai Black Sabbath. Si crede che Satana o il diavolo abbia avuto una grande importanza nell’economia del lavoro dei Black Sabbath. Al contrario per Geezer Butler non era altro che un modo per esplorare, a suo modo, il mondo dell’occulto e dell’esoterico di cui era appassionato. Tuttavia non ha voluto rimanere prigionierio di un clichè tant’è che Satana scompare dai testi dopo i primi tre album. Leggendo attentamente si capisce che i Black Sabbath hanno paura del diavolo, lo temono ed anzi sembrano volere mettere in guardia gli uomini su quanto sia pericoloso giocare con lui.

Ho letto che hai intervistato nel tempo i quattro. Che persone sono e soprattutto quale idea ti sei fatto singolarmente di loro.
Tony Iommi è un classico gentleman inglese. Molto educato e veramente dedito a quello che fa. Ha un grande carisma, ma è anche piuttosto modesto e talvolta insicuro. Pensa che una volta lo vidi sul palco (anch’io ero sul palco a lato) e lo osservavo prima di entrare in scena. Era nervoso, continuava a sfregarsi le mani ed a passeggiare nervosamente prima che si alzasse il sipario. Questo mi ha fatto molto piacere perché vuole dire che è una persona che dopo 40 anni ancora si emoziona per quello che fa, anche se concerti ne ha suonati a migliaia

Ozzy Osbourne è una rockstar anche quando va a pisciare. E’ un uomo di spettacolo, sempre. Gli viene naturale perché è un giocherellone, anche un clown, se vogliamo. E’ il classico inglese da pub che fa scherzi grezzi e triviali e si ubriaca il weekend. Ma si vede che è buono come il pane, solo che ha una personalità fragile. Anche qui ti racconto un aneddoto. Una volta gli ho fatto due domande e lui ha risposto tutt’altro, proprio non ha capito (e ti assicuro che io parlo un buon inglese). Il fatto è che è dislessico e ha deficit di attenzione. Non c’è problema comunque. E’ bastato cambiare domanda secondo quello che lui aveva risposto, ahah.

Geezer Butler è invece il tipico inglese ricco di humor nero. Gli piace fare sempre battute ad effetto, come se però dovesse quasi interpretare il suo ruolo. Purtroppo gli ho parlato solo una volta. E’ quello che ho conosciuto meno ed avrei voluto conoscere di più proprio per via dei testi.

Bill Ward è una persona di una bontà e di una gentilezza estrema. Quando abbiamo parlato al telefono per le ristampe in edizione deluxe dei primi album abbiamo parlato per due ore. Lui è conscio di avere un ruolo meno appariscente degli altri, per così dire minore, nell’economia del gruppo e per quello cerca di compensare essendo molto prodigo di aneddoti, di storie. Pensa che mi ha detto di contattarlo privatamente se volevo altre informazioni. Era molto disponibile, ma non ho voluto abusarne.

Butler si evince che è in sostanza il paroliere del gruppo. Com’è a tuo giudizio il Butler “scrittore”? Quali sono i suoi simbolismi principali? Insomma, che ritratto puoi farci del suo pensiero?
Non è facile entrare nella testa di uno scrittore. Sicuramente i suoi riferimenti letterari principali sono “The Devil Rides Out” di Dennis Wheatley, uno scrittore inglese che flirtava molto con l’occulto e l’esoterico, quindi l’opera di JRR Tolkien e di HP Lovecraft. Posso dire che era molto interessato all’aspetto onirico della vita. Ovvero come la vita e la realtà si possono trasfigurare attraverso i sogni. Il sogno era visto come una porta tra la dimensione reale e fantastica perché molti testi guardano al mondo come potrebbe diventare rendendo reali le proprie paure della guerra, della bomba atomica, del futuro dei bambini. E’ sicuramente uno scrittore che lavora molto d’immaginazione ed ha delle visioni surreali e metafisiche degne degli scrittori horror da cui lui ha preso ispirazione.

Il testo più significativo dei Black Sabbath?
Il testo che a me piace di più è quello di “Electric Funeral” perché contiene delle descrizioni della terra del futuro devastata dalla bomba atomica e le immagini di distruzione sono davvero azzeccate ed impressionanti. Poi trovo molto interessanti ovviamente testi come quello di “War Pigs”, “Iron Man”, “Behind the Wall of Sleep”, ma c’è un testo che vorrei segnalare che non è mai stato considerato. E’ quello alternativo scelto per “Walpurgis”. E’ un testo davvero sanguinario ed horror, anzi probabilmente è uno dei testi più crudi mai scritti dalla band, forse troppo, tanto che furono convinti a cambiarlo dalla casa discografica preoccupata dalla possibile pubblicità negativa.

Hai una laurea in economia ed hai lavorato nel marketing, adesso sei nel rock. Hai scritto per diverse e importanti testate, come Rumore e Metal Shock. Quale opinione hai della scena musicale e del music business attuale. Lo ritieni simile a quello di dieci o venti anni fa?
No, ovviamente tutto è cambiato, in peggio purtroppo. Il mondo musicale è in crisi perché non riesce più a produrre miti o personaggi ma solo ottimi interpreti. L’industria musicale è in crisi perché a furia di digitalizzare tutto le nuove generazioni hanno perso interesse per l’oggetto fisico disco, vinile o cd che sia. Se una cosa non la vedi (gli mp3) ti sembra di non possederla e quindi ne le dai più valore. Questo per me è uno dei motivi del declino del mercato musicale. Ma le ragioni di questo declino sono tantissime. Così tante che ho in cantiere un libro proprio su questo argomento. Quanto alla stampa musicale anch’essa è in declino perché deve combattere contro la rete che offre però un consumo “mordi e fuggi”, un’informazione spesso breve e generalista. Per questo con le riviste con cui ho collaborato ho sempre cercato l’approfondimento, una cosa che spesso in rete manca. Certo in Italia la crisi è più evidente che in altri paesi perché Classic Rock o Rockhard Germany, realtà con cui mi confronto periodicamente, non soffrono molto di questi problemi. Purtroppo in Italia si legge poco. Certo la TV spazzatura è assolutamente diseducativa e non vengono proposti modelli intelligenti e culturali validi per le nuove generazioni.

Sei autore di altri testi, come i “100 Migliori Dischi della NWOBHM”, ma anche di uno su quelli thrash e death metal. Tre diversi livelli del metal. Rispetto ad oggi le pubblicazioni definite death, heavy metal e thrash hanno di più o di meno rispetto a quelle del passato? In cosa cambiano?
La storia provoca questo curioso effetto. Per chi l’ha vissuta storicizza, scusa il gioco di parole, o meglio consolida nella memoria ricordi legati ad una certa epoca. Per cui, istintivamente, quando hai vissuto un’epoca del metal gloriosa come sono stati gli anni 80, pensi che niente potrà essere mai meglio. Invece chi non ha vissuto sulla propria pelle quelle epoche le vede come mitiche, come un periodo eroico dove accadeva davvero qualcosa di grandioso. E’ per questo che oggi c’è un revival così spinto di band vecchie, proliferare di reunion e di ristampe di vecchi classici. Più che mai oggi anche i giovani sembrano più interessati a rivivere il passato (cosa impossibile) più che a valorizzare il presente. Ti faccio un esempio. Se Master Of Puppets uscisse oggi non avrebbe la stessa rilevanza perché non sarebbe connesso a quel periodo storico. Analogamente i dischi nuovi di ogni band devono combattere spesso contro il loro ingombrante passato. Ecco perché la gente si esalta di più quando viene fatto il tour del Black Album piuttosto che per l’uscita di Death Magnetic. C’è da dire poi che quando nasce un movimento nuovo, che sia il death, il thrash, il black o il nu metal, all’inizio c’è quella spontaneità, quello spirito grezzo e genuino, non contaminato dalle case discografiche o dalla pressione di provare qualcosa al proprio pubblico, che rende tutto più attraente. Se esce oggi un disco thrash o death, la gente conosce già tutto di questi generi e quindi non prova nessuna eccitazione. Che eccitazione vuoi che ci sia per i Bonded By Blood, i Warbringer o gli Evile che rifanno quanto fatto negli anni 80? Sono buoni esecutori, ma non lasciano certo il segno nella storia del genere.

Come è il tuo approccio alla scrittura di un libro come quelli da te realizzati? Hai un percorso stabilito, un tabella…
Tabelle ne faccio sempre, ma non riesco mai a seguirle perché con due bambini, la rivista e la casa insomma non riesco mai a programmare il tempo come voglio. Però mi piace essere organizzato e fare dei piani. Prima c’è una fase di ricerca delle fonti, molta lettura e selezione, poi divido tutto in capitoli e mi occupo della stesura vera e propria che normalmente prende tre o quattro mesi. Poi rivedo e correggo tutto e quindi passo ancora tutto al’editore per l’editing vero e proprio, la correzione bozze e la discussione di punti controversi.

Il prossimo invece quale sarà?
Il prossimo libro che sto scrivendo in questi mesi e che sarà finito entro fine anno è un libro analogo a quello dei Black Sabbath, ma dedicato agli Slayer, dove analizzo ben 116 canzoni scritte dalla band in trent’anni di carriera. Visto che sono un appassionato di letteratura e cinema horror, hard boiled, thriller e sci-fi, trovo che gli Slayer abbiano scritto un campionario di testi del genere davvero degno di nota. Per certi versi loro sono il proseguimento in chiave estrema di quanto fatto dai Black Sabbath passando attraverso i Venom. Ma ho altri progetti in cantiere per il 2013, un libro su tutte le riviste hard and heavy pubblicate in Italia, il libro sulla crisi del rock ed un romanzo vero e proprio. Vedremo se riuscirò a rispettare la tabella di marcia che mi sono imposto di tre libri all’anno. Il libro sugli Slayer vedrò se pubblicarlo ad inizio anno o aspettare il loro nuovo album (previsto per il 2013) ed aggiornare il tutto.

Grazie per aver dedicato parte del tuo tempo a Metalhead.it. Aggiungi pure qualcosa, magari qualcosa che non ti ho chiesto e rivolgiti pure ai lettori.
Grazie a te ed a tutti quelli che leggeranno queste parole e, spero, il mio libro sui Black Sabbath. Sono una persona curiosa, che cerca di capire il senso delle cose e non si limita solo alla musica in se stessa, soprattutto per le band che amo. E cerco, attraverso i miei articoli, le mie recensioni ed i miei libri di suscitare questa curiosità anche nel pubblico più attento. Ho molti interessi letterari ed artistici, ma esploro soprattutto quelli legati al lato oscuro della mente umana e spero di riuscire a dare il mio contributo ad espandere questo mondo.

(Alberto Vitale)