fotokingbong1Chi è il Re Bong? E’ uno o e trino? La musica che descrive questa entità è libera, imponente, stoner, strumentale, lisergica, cerimoniale. Il Re Bong è un culto e Alberto (basso), Andrea (chitarra), Teo (batteria) sono i Gran Cerimonieri? Qualsiasi cosa di cui sia fatto ed è King Bong è da scoprire.

Grazie per aver accettato questa intervista e comlimenti per “Space Shanties”.
Grazie a voi per lo spazio concesso, il Re Bong è compiaciuto.

La prima cosa che vorrei sapere è che genere di lavori fossero “Alice in Stonerland” e “How I Learned to…”. Io mi son preso la briga di ascoltarli e mi hanno anche sorpreso. Sarebbe perfetto se dessi tu una descrizione ai lettori.
Teo: “How I Learned” è stato registrato e mixato in un solo pomeriggio dopo che avevamo fatto circa 5 prove e 2 live, i pezzi erano delle bozze da cui partivamo per le improvvisazioni, è stato più che altro un divertente esperimento che però ci ha poi stupito come risultato. “Alice” è ancora più estremo in questo senso, poiché è un’unica improvvisazione registrata in saletta senza che alcuna delle parti fosse mai stata provata o suonata; alla fine il risultato ci è piaciuto e abbiamo deciso di pubblicarlo. Entrambi sono stati accolti molto bene da chi li ha ascoltati, così come sta succedendo anche per “Space Shanties”.

Ho un aneddoto. La prima volta che ho ascoltato il vostro nuovo album, mia nipote di 5 anni giocava al mio PC. Ad un certo punto si è fermata e ha preso a ballare su “Of Bong and Man”. Il punto è che proprio in quel momento stavo pensando tra me e me “ma questi che intenzioni hanno, non ci capisco più nulla in quello che suonano”. Probabilmente mia nipote ci è arrivata prima di me al significato della musica!
Andrea: Abbiamo un certo effetto sui bambini, più di una volta li abbiamo visti sotto al palco che ballavano i nostri pezzi. In un certo senso è molto bello perché rivela l’aspetto più istintivo di quello che facciamo, un bambino non ha le competenze o le conoscenze per analizzare la musica per cui o la sente o non la sente. Se sta ballando probabilmente vuol dire che la canzone sta funzionando. O che l’abbiamo pagato prima del concerto per far ballare anche gli altri.

Continuando ad ascoltare poi successivamente l’album mi è sembrato di percepire un certo ordine nei vostri pezzi. A volte nel rock i brani strumentali sembrano il frutto di jam session improvvisate, invece i vostri pezzi comunicano una sequenza ordinata. Discute in anticipo su come modellare un brano o lasciate che siano strumenti e istinto a stabilire le direzioni?
Alberto: Diciamo che è una via di mezzo: i brani nascono da jam, che registriamo e riascoltiamo. A quel punto cerchiamo di individuare cosa funziona e cosa no e comincia un processo di limatura. L’obiettivo principale è far sì che tutto scorra al meglio, che il viaggio non abbia interruzioni. Il risultato finale quindi è una sorta di jam razionalizzata, contiene ancora molta improvvisazione ma ha anche degli appigli fissi. Col tempo ci siamo resi conto che trovare un trait d’union tra l’approccio primordiale dell’improvvisazione e quello più cerebrale dell’arrangiamento è il modo migliore per creare un percorso sonoro che comunichi efficacemente quello che ci passa per la testa quando immaginiamo un brano. Il Re Bong ci invia delle immagini e noi cerchiamo di trasformarle in viaggi musicali.

Ho notato che avete specificato come i pezzi fossero stati registrati in presa diretta. Senza sovraincisioni. E’ più difficile registrare in questo modo?
Alberto: Non necessariamente. Da una parte, se qualcosa non ha funzionato si butta via l’intero take e si risuona tutto il brano. Ma è un metodo che permette a una band con una forte componente improvvisata come noi di registrare qualcosa il più possibile vicino a come siamo sul palco e fa sì che anche in studio possa nascere qualcosa di inaspettato.

Come nascono i titoli dei brani?
Andrea: Generalmente dalle sensazioni e immagini che un pezzo ci suscita. Quasi sempre abbiamo voluto raccontare qualcosa con i nostri pezzi, fosse un racconto, un viaggio o anche solo un’immagine. Un pezzo come “Cthulhu” per esempio non ha richiesto molto sforzo, il suono apocalittico e le ritmiche irregolari ci hanno subito fatto pensare alle strane geometrie descritte nei racconti di Lovecraft. Questa libertà ci permette di giocare con le parole, le citazioni e i rimandi. Ci piace inserire la nostra base culturale comune sia nei pezzi che nei titoli, serve a inquadrare il tutto in un contesto che renda più digeribile l’approccio che abbiamo alla composizione.

Ho guardato il video di “Cthulhu”. Come è stato pensato e realizzato? Che idea c’era di base e che attinenza aveva col titolo del pezzo?
Alberto: La nostra musica ha sempre avuto una certa affinità col cinema, vedi i titoli dei dischi e di alcuni brani. A volte tentiamo di incanalare le immagini che suscitiamo in chi ascolta tramite un riferimento cinematografico, quindi è stato naturale pensare a un film come sfondo per un nostro brano. Siamo tutti fan del cinema di serie B, C e via fino alla Z, non potevamo che scegliere un film di fantascienza vecchio e “Cat Women of the Moon” aveva diverse caratteristiche che lo rendevano adatto: viaggio nello spazio, effetti speciali caserecci e nessun copyright.

Ho visto che siete in Bandcamp. Ho conosciuto molte band attraverso quella piattaforma e per alcuni è stata davvero utile e preziosa. Come sta andando con la vostra musica?
Teo: Bene, da quando abbiamo messo l’album in streaming abbiamo ricevuto un buon feedback e siamo stati contattati da diversi utenti. È un’ottima piattaforma di lancio, senza fronzoli e con la musica in primo piano, se ne sentiva il bisogno. E permette anche di vendere album e merchandise di vario tipo direttamente da parte della band.

Siete con la MoonlightRecords, etichetta di Parma, la quale sta mettendo in piedi un bel roster. Inoltre mi sembra che sia anche una etichetta che ha sensibilità proprio per un sound come il vostro.
Andrea: Sì, ci siamo incontrati l’estate scorsa con Dorian, il fondatore dell’etichetta, e abbiamo deciso di lavorare insieme. Registrare per loro è stata una bellissima esperienza, lo studio è stupendo e ci ha permesso di sperimentare diverse riprese degli strumenti e dell’ambiente. Siamo finalmente riusciti a replicare il nostro suono nel modo più fedele possibile, il risultato ci soddisfa appieno. Assieme a noi ci sono diverse band affini, come gli Electric Taurus, i Talisman Stone, gli Shinin’ Shade o i Caronte dello stesso Dorian, con cui si cerca di promuovere questa musica organizzando concerti insieme e dandoci una mano, una specie di gruppo di recupero!

fotokingbong2Ho visto le foto di alcune vostre esibizioni live. Un orologio posto davanti alla cassa della batteria. Luci rosse. Un neon alle vostre spalle. State curando anche idee per eventuali scenografie , luci e altro?
Teo: E non hai visto che l’orologio va al contrario! A parte questo, al momento non abbiamo in programma grossi sconvolgimenti per il palco, un po’ perché i soldi son pochi e un po’ perché siamo sempre stati interessati come prima cosa alla musica. Abbiamo cercato di creare un palco interessante da vedere, con l’effetto dei neon dietro di noi. In futuro potremmo cambiare e provare altre soluzioni che rendano l’esperienza live appagante anche dal punto visivo, ma lasciando sempre in primo piano la musica. Un’alternativa potrebbe essere la proiezione di film, che abbiamo già provato qualche volta. Magari improvvisando direttamente sulle immagini, chissà!

Grazie. A voi il congedo dai lettori. Prego…
Invitiamo tutti alla corte del Re Bong, per partecipare ai suoi riti, che siano dal vivo o incisi su disco. Venite a trovarci su facebook o bandcamp per ascoltare Space Shanties e celebrare il Re nel migliore dei modi. Egli saprà ricompensarvi con visioni di nuovi mondi e vi accoglierà nel suo serraglio.

 

(Alberto Vitale)

Recensione