In occasione del recente concerto di Roma, MetalHead ha avuto occasione di una rocambolesca intervista con Mick Moss… ecco il resoconto della chiacchierata!

Allora Mick, cominciamo con il tour: come sta andando?

Tutto molto bene, stiamo suonando in paesi dove non siamo mai stati, ad esempio in Romania, Ungheria o Bulgaria, passando poi per la Grecia siamo arrivati in Italia… adesso andremo in Serbia dopo dieci anni. In particolare la Romania è stata una rivelazione, abbiamo molti fan lì ma non ne avevo idea…

Non è però la vostra prima volta a Roma…

No, ci siamo già stati almeno nel 2012, e anzi credo in totale di esserci stato quattro volte!

Pensa che il mio primo concerto degli Antimatter è stato a Salerno!

Salerno… sì, me lo ricordo! Una città nel sud Italia (ride).

Passiamo al nuovo disco: l’ho apprezzato moltissimo, trovi che vada nella stessa direzione di “The Judas Table”?

No, credo che la direzione sia completamente diversa. “The Judas Table” era composto da materiale nuovo e da altro più vecchio, che proveniva addirittura dal 2005 o giù di lì… “Can of Worms”, ad esempio, è del 2007. Poi c’erano cose nuove, come “Stillborn Empires”. Per il nuovo disco ho deciso di non usare assolutamente materiale datato, e vedere cosa sarebbe venuto fuori ‘out of my ass’ [qui Mick mima con la voce uno sforzo fisico, ndr] (ridiamo entrambi). E sono venute fuori cose interessanti! (si ride ancora) Mi sono sentito completamente libero. Tutti i brani partono da una scrittura su chitarra elettrica, la musica è quindi più aggressiva, più diretta, più energica.

Essendo un fan della prima ora, avrei qualche domanda anche sui dischi più vecchi come ad esempio “Planetary Confinement”, che è il mio preferito della vostra discografia…

Grazie! Ho scritto soltanto metà del disco, con Duncan [Patterson, membro fondatore degli Antimatter, ndr] le cose stavano diventando… non saprei come definirle, ma stavano cambiando. Lui suggerì che componessimo un album acustico, e per me andava benissimo, perché ho sempre composto in acustico e una grande parte di me ama farlo. Così scelsi i brani più emozionali, senza samples e senza tastiere, evitando ogni violenza sonora.

Fra i brani di quel disco c’è anche “Epitaph”, il tuo brano che amo di più… lo suonerete stasera?

No! (ride) Noi facciamo due set diversi e stasera è quello elettrico, quello di dark rock. “Epitaph” fa parte del set acustico… avevo la musica pronta, che per me è molto vibrante ed emozionale, ma non avevo le parole e non le ho avute per molto tempo. Poi mia nonna è morta, per andare al funerale ho preso le mie cose e la mia chitarra e ho scritto il testo. Sono i miei sentimenti di come mi sentivo all’epoca, ero nella casa di mia nonna che per la mia vita è stato un posto davvero importante, come il mio santuario, un ‘posto sicuro’… stavo lì che pensavo che quel posto ormai era andato, che non mi ci sarei più potuto recare. So che può sembrare insano ma scrivendo provai a ricordare tutte le stanze della casa, per fare una mappa nella mia mente che poi avrei potuto portare per sempre con me, in modo da proiettare quel posto sicuro dentro di me e poterci andare ancora. È da lì che viene l’inizio del testo, ‘Paint me a Room’…

Sei ancora in contatto con Duncan Patterson?

No, da circa cinque anni.

E che puoi dirmi di “Leaving Eden”, dal disco omonimo?

Sono contento che sia diventata un anthem, non riuscivo a prevederlo… e invece è diventata subito una sorta di inno per la band. Il testo parla della consapevolezza di uno stato di depressione, e torni indietro con la mente allo stato precedente di benessere. Quello era l’‘Eden’, uno stato positivo della mente, e ti chiedi come fare a tornare indietro lì. La depressione per certi versi è uno stato falso e autoimposto, le cose possono tornare grandi come prima.

Credo che tu scriva testi molto profondi, spesso legati a vicende personali…

Talora anche criptici! Non amo essere ovvio. Ad esempio, “Between the Atoms” ha un significato complesso.

E cosa ci riserva ora il futuro per gli Antimatter?

Anzitutto ho bisogno di contatto con la realtà, anche distruttivo, altrimenti mi richiudo troppo in me stesso… il tour serve molto, da questo punto di vista, per evitare di trovarmi di nuovo nel vuoto, dove sono stato per molto e anche con pensieri distruttivi…

Grazie per il tuo tempo, Mick!

Grazie a te!

(Renato de Filippis)