I Natrium con “Elegy for the Flesh” toccano quota secondo album nella personale discografia. I deathers sardi nascono nel 2001 e, come tutte le band, hanno avuto un proprio percorso formativo, il quale li ha portati di recente al nuovo lavoro in studio, “Elegy for the Flesh”. Lorenzo Orrù, master voice dei Natrium, racconta come si è svolto il lavoro in sala d’incisione

Ascoltare “Elegy for the Flesh” è qualcosa di impressionante. Ho preso il CD e l’ho inserito nel lettore, senza guardare il booklet e senza sapere nulla sui Natrium. Dopo la seconda canzone e appreso che non siete deathers qualsiasi, ho aperto il booklet e ho visto che eravate italiani di Sardegna e non americani della Florida! Penso che ve lo abbiano detto in molti o almeno chi come me non vi conosceva.
Grazie! È il miglior complimento che si possa ricevere.

Non ho ascoltato il vostro primo album, “The Day of Pain”, mi tracci le differenze essenziali con “Elegy for the Flesh”?
Al periodo di “The Day of Pain” io non c’ero ancora. Comunque in quel disco le influenze principali erano quelle dei Death e il death metal classico in genere con una vena thrash. Nel 2007, con la nuova formazione, abbiamo pubblicato un EP autoprodotto chiamato “Inscribed in the Victims Scars” che è una via di mezzo tra il primo e l’ultimo disco.

Avete chiamato Pär Olofsson per la copertina. Perchè lui? Lo stile, c’era l’opportunità di averlo, insomma che cosa?
I suoi lavori sono incredibili e il suo stile, soprattutto quello biomeccanico, ci sembrava il più adatto per quello che avevamo in mente. E’ bastato contattarlo, spiegargli il contenuto dei testi, definire le tempistiche e ha accettato. Sinceramente, quando gli ho mandato la prima email pensavo che ci mandasse aff… ! Dicesse “Chi c…. sono ‘sti Natrium?”  Mi sbagliavo. Non riesco ancora ad abituarmi al fatto di scoprire che persone che io considero dei miti inarrivabili, alla fin fine siano cordialissimi e alla mano.

“No triggers were used on drum recording”, campeggia questa scritta nel booklet. Da cosa nasce l’esigenza di mettere in calce questa precisazione?
Non ci piaceva il suono della batteria che negli ultimi tempi è stato usato in gran parte dei dischi brutal/death metal. Per certi versi rende di più l’effetto tritatutto e fa guadagnare tempo in registrazione, ma secondo noi così si perde un po’ troppa dinamica e realismo. Noi siamo affezionati al suono anni novanta, alla batteria vera, alle chitarre con molti bassi. Volevamo qualcosa di moderno, ma che ricordasse quel sound. Il nostro tempo a disposizione in studio era molto ridotto a causa di pochissimi fondi ma Stefano Morabito del 16th Cellar ha reso tutto ciò possibile e in tempi record. Siccome è stato molto complicato ottenere questo mix in cosi poco tempo, abbiamo deciso di scriverlo pure nel booklet. Non so se continueremo anche in futuro su questa linea.

I vostri testi (ma anche in altre band death metal) focalizzano il corpo e i suoi elementi, penso al sangue, la fisicità, la violenza sul corpo, la sua mutilazione o il suo dominio. Perchè è un l’elemento nodale nelle liriche death metal?
Penso che sia naturale. Questi temi si adattano alla violenza della musica.
Il death metal deve parlare di morte, che sia di origine horror, reale, psicologica o spirituale.

Nei ringraziamenti ci sono dei nomi di un certo spessore: Demetrio Stratos, Chris Barnes, e mi fermo. Cosa rappresentano questi nomi?
Abbiamo voluto includere oltre alle persone che conosciamo, i nostri familiari, chi ci ha supportato e coloro con cui abbiamo diviso il palco, anche chi è stato importante per altri motivi alla “nostra“ musica. Non potevamo non citare per esempio Chuck Schuldiner. Sai, Frank Mullen, Chris Barnes, Joe Ptacek, George Fisher sono stati per molti anni i miei “maestri virtuali”, ricordo serate intere passate ad ascoltare e provare a ripetere quello che facevano, provocandomi mal di gola e di testa assurdi. Le opere di Demetrio Stratos e degli Area invece mi hanno fatto riscoprire la bellezza di giocare e sperimentare con la voce in un lungo periodo in cui non stavo più cantando, non trovavo più nessuno per suonare brutal death. L’elenco è lungo, ci sembrava giusto citare e ringraziare tutte queste persone straordinarie.

Incidete per la The Spew Records, divisione della Punishment 18 Records, etichetta con un roster importante. Cosa significa avere organizzazioni del genere alle proprie spalle?
Dopo tutti i sacrifici e investimenti fatti è un grande traguardo e da molta soddisfazione. Corrado e tutto lo staff hanno fatto sì che il CD andasse in stampa e stanno facendo un gran lavoro.

Come siete messi per esibirvi dal vivo?
Proviamo molto, ultimamente stiamo scrivendo roba nuova, comunque desideriamo suonare dal vivo più spesso. Stiamo definendo alcune date per il 2012. Non penso che faremo lunghissimi tour, oltre ad essere molto costosi siamo tutti impegnati con il lavoro o con lo studio, ma comunque faremo il possibile per portare la nostra musica in giro.

Avete riscontri, giudizi, offerte live dall’estero?
Si molto più che dall’Italia, e la cosa è piuttosto strana.

Ti ringrazio. Rivolgiti ai lettori di Metalhead.it per la fine di questa intervista…e magari di loro perché non dovrebbero più venire in queste pagine!
Grazie a te per l’interessamento! Continuate a supportare il Metal Italiano, andate ai concerti scaricate pure, ma poi comprateli i CD! Ahaha…sembro Pino Scotto! Occhio che su Metalhead.it d’ora in poi troverete solo recensioni e interviste di gruppi Gabber House Folk eschimesi.

Alberto Vitale

recensione: https://www.metalhead.it/?p=2169