In che situazione versa il mercato discografico in Italia? Che realtà artistiche producono i Talent Show? E le Tribute Band? Daniele Farina ha indagato in tutto questo attraverso la realizzazione del documentario “Overload”. L’autore ha posto delle domande per farsi raccontare le opinioni dei protagonisti della scena musicale, cioè musicisti, artisti, vincitori dei talent, conduttori, discografici. Roberto Tiranti dei Labyrinth, gli Extrema, Pino Scotto, Cristina Scabbia dei Lacuna Coil, Blaze Bayley, gli Stratovarius, ma anche Mara Maionchi, Enrico Ruggeri e tanti altri ancora, hanno dato dimensione e voce a diverse problematiche e realtà attorno alla musica in Italia. Daniele Farina si è gentilmente concesso alle domande e offrendo un’ulteriore analisi.

I filmati realizzati sono assolutamente consigliati, guardateli! Il materiale è reperibile nel sito ufficiale di Farina.

Vorrei che fossi tu a spiegare ai lettori cosa è “Overload” e come è nato questo lavoro.
“Overload” è in prima di tutto il risultato di un lavoro di una squadra in cui 3-4 persone hanno messo a disposizione la propria professionalità e soprattutto la propria passione per una causa comune, in maniera assolutamente gratuita. Sono venuti fuori una serie di documentari che cercano di fotografare la situazione musicale attuale analizzandone diversi aspetti e le relative conseguenze, unicamente per voce di chi ne fa parte.
Inizialmente pensavo ad un documentario unico che parlasse di Tribute Bands, Talent Show e Rock in Italia, ma poi andando incontro a problemi di durata, confezione e mole di contenuti, mi sono reso conto che gli argomenti emersi andavano affrontati e sviluppati maggiormente, non solo per dare il giusto spazio di esposizione a tutti i punti di vista, ma anche per creare un confronto che potesse fornire il maggior numero di elementi possibili allo spettatore per potersi fare un’idea in maniera il più possibile autonoma e indipendente.
“Overload” ha preso una sua forma nel corso del tempo. Non c’è stato nessun lavoro di pre-produzione alle spalle se non l’intenzione di porre più o meno le stesse domande in diverse situazioni musicali per poi, in fase di montaggio, creare un tavolo rotondo virtuale.
Proprio per questo motivo penso che “Overload” lo abbiano fondamentalmente creato gli artisti che vi hanno partecipato; noi abbiamo solo dato corpo e confezione a tutta una serie di discorsi che venivano affrontati prima di questi documentari, sarebbero stati attuali e affrontati anche senza e che verranno affrontati comunque anche nelle situazioni che non verranno raggiunte da questi film.

Cosa ti ha portato a realizzare “Overload Tribute”? Quale spunto ti ha indotto ad esaminare questo aspetto attuale della scena musicale italiana?
La scena delle Tribute Bands è stata la prima a cui mi sono avvicinato nel momento in cui ho scelto di intraprendere, oltre a quello televisivo, anche un discorso musicale legato alla mia professione. Negli scorsi anni ho maturato conoscenze e amicizie con alcune delle persone che compaiono nei documentari e conoscendoli mi sono spesso posto alcune domande che poi sono finite alla base del primo documentario, in particolare riflessioni riguardo motivazioni, spirito, modo di vivere questa cosa e il tipo di gratificazione che ne deriva.
Penso che il motivo di fondo che mi ha spinto a realizzare questo progetto sia stato dovuto alla necessità, che avevo in quel periodo, di confrontare me stesso e la natura del percorso professionale che avevo intrapreso con persone che prima di me avevano provato a trasformare la propria passione nel proprio lavoro, e il mio augurio è che chiunque si trovi in una posizione simile possa, nei miei documentari, trovare qualche spunto che possa aiutarlo anche in tal senso.

“Overload Talent” è sconcertante, forse sono tutte cose che un consumatore abituale di musica, magari a 360°, già sa consciamente o inconsciamente. Tuttavia è strabiliante avere insieme il punto di vista da parte di chi fa trasmissioni come X-Factor, di chi vi partecipa, di chi ne è stato vincitore, di chi è stato scartato, di chi disprezza quel format eccetera. Tu che opinione ti sei ricavato da tutto ciò?
Non ho mai preso in considerazione programmi del genere principalmente perché, pur lavorandoci ogni tanto, non guardo praticamente mai la tv. In linea generale penso però che l’esistenza di queste cose sia una naturale conseguenza dei cambiamenti che ci sono stati, sia da un punto di vista economico che culturale; sono d’accordo con Mario Riso (batterista, session man per molti, nda) quando dice se esistono programmi del genere è perché c’è gente che li guarda.
Non colpevolizzo nessuno per questo, perché per quanto per noi la musica possa essere una cosa importante, per altri può non esserlo…e di gente a cui interessa poco della musica ne vedo veramente tanta in giro. Vedo persone che pensano che la musica sia quello che vedono in televisione, ma sono scelte. Il non sapere è una scelta.

Quali artisti, tra quelli intervistati, ti sono sembrati i più carismatici, quali sono stati per te una fonte di verità o di lucida analisi sul fenomeno dei reality musicali?
Proprio per il discorso del confronto che facevo prima, posso dire di aver trovato molte conferme nelle parole di Roberto Tiranti, che ho sentito molto mie. Ho apprezzato molto però anche diversi interventi di Nesli e di Mario Riso, che rispecchiavano molto le mie opinioni.

Tutti coloro che hai intervistato hanno sicuramente dato il proprio contributo. Secondo te Pino Scotto è un personaggio? Nel senso che lo è perché va anche oltre al di là di ciò che dice e per come lo dice?
Conosco personalmente Pino da quasi 3 anni ormai e ho avuto modo di fare con lui anche dei videoclip ed altre cose e penso che oltre il personaggio ci sia una profonda sensibilità in lui che non sempre traspare, se ci si ferma ad una conoscenza superficiale. In questi anni mi ha stupito molto la disponibilità e l’umanità che ha dimostrato nei miei confronti e non posso che ringraziarlo per questo e per le opportunità che in questi anni mi ha dato, sia per le interviste per “Overload” sia per le altre cose che ho fatto con lui. Riguardo alla tua domanda, certo, non è un segreto il fatto che “Database” abbia rilanciato anche la sua carriera musicale; lui stesso ha sempre riconosciuto la visibilità che ha ottenuto facendo televisione e facendolo in quel modo specifico. Il rischio di cadere nella trappola della ripetitività è però normale quando ti trovi a condurre una trasmissione tutti i giorni, per anni; nonostante questo, però, mi sento di appoggiare buona parte dei contenuti e dei valori che porta avanti e questo penso sia molto più importante sia della forma sia del linguaggio con cui lo fa (anche se a dir la verità.. su certe cose.. sono d’accordo anche su quello).

Tu credi che qualcuno tra gli intervistati non sia stato sincero su qualcosa che gli hai chiesto? Il motivo di questa domanda è la Maionchi. Probabilmente non potrai dirmi male di nessuno, ed è giusto così, tuttavia penso che lei non sia una persona sincera, nel come affronta i diversi discorsi esaminati in “Overload”.
Posso parlare solo dell’intervista perché non conosco Mara personalmente né seguo, come dicevo prima, le sue vicissitudini televisive. L’intervista a Mara Maionchi si è rivelata di enorme importanza in questo progetto perché in tutte le risposte è andata dritta al punto, facendo trasparire molta esperienza ma soprattutto una profonda consapevolezza del contesto in cui si trova. Il ruolo che si riveste in un contesto è sempre una scelta personale e come tale non mi sento di giudicarla. In fase di montaggio però mi sono affidato molto ai suoi interventi e penso abbiano dato spessore e una marcia in più a tutta la struttura dei documentari.

Il terzo documentario “Overload” parla specificamente dell’industria musicale. La mia opinione sul binomio industria-mercato è davvero pessima. Io ho l’impressione che i discografici siano incapaci di arginare la crisi che attanaglia l’industria discografica, la quale esiste ormai da anni. Soprattutto mi danno l’idea di averci capito poco. Lo dico come consumatore di musica, lo dico come fan di tanti musicisti e come abituale acquirente di CD. Secondo te la mia opinione è sbagliata?
Come dicevo prima, è tutta una conseguenza dei cambiamenti che ci sono stati. Dal momento in cui la musica viene percepita come gratis, si tende a darle poco valore e questi sono i risultati. Una volta i concerti servivano a promuovere i dischi, oggi è il contrario. Questo è uno dei risultati dei tanti cambiamenti che stiamo affrontando in questo che è periodo di transizione non solo dell’industria discografica ma di tutto l’entertainment. Un altro è la smaterializzazione, ad esempio. Oltre ai supporti penso che la proposta necessiti di un rinnovamento. Mi piacerebbe che in futuro il binomio musica/immagini, ad esempio, venga sviluppato molto di più. Molti dicono che deve cambiare l’offerta, che la musica oggi è tutta uguale e su alcuni punti posso anche essere d’accordo, ma penso che prima di questo debba cambiare l’approccio dei fruitori nei confronti della proposta musicale, che al momento trovo piuttosto superficiale.
Non so se, come dici tu, i discografici ci abbiano capito o no qualcosa, ma penso che la soluzione a tutto questo verrà trovata solo dopo molti tentativi e fallimenti, ma al momento la situazione economica generale non permette a nessuno di poter fare passi falsi, quindi siamo in una fase di stallo.

Mi ha fatto una certa impressione sentire Cristina Scabbia dire che la scena italiana non esiste, quando all’estero le chiedono cosa ne pensa di tale scena. Comprendo il suo punto di vista, ma lascia comunque l’amaro in bocca e ci mette definitivamente di fronte a questa realtà. Tu cosa ne pensi?
Non so dire se effettivamente esista una scena musicale nel senso stretto del termine. Dipende sempre da cosa si intende per scena. Per quanto mi riguarda una scena musicale esiste. Negli ultimi tempi sono usciti lavori come l’ultimo dei Clairvoyants o “A Perfect Day”, progetto di Andrea Cantarelli con Roberto Tiranti alla voce e Alessandro Bissa alla batteria, che trovo assolutamente di livello, e ci tengo a citarli perché sono l’esatta dimostrazione che in questo paese puoi anche produrre dischi di livello, ma lavori del genere non godono assolutamente della visibilità che ritengo meriterebbero. Penso sia questa la causa del fatto che per molti non esiste una scena, proprio perché non c’è visibilità, quindi i numeri e le situazioni economiche attorno a tutto questo non sono comparabili alle situazioni più mainstream. Sono d’accordo con quello che dice Pino Scotto all’inizio di “Overload 3” riguardo i musicisti e le band che ci sono in Italia e alla mancanza di un business che però possa portarli avanti.

Cosa sarà in futuro “Overload”, quali settori o situazioni potrà indagare?
Il quarto ed ultimo “Overload” che farò si chiamerà in realtà “Reload”, proprio perché il proposito di fondo è quello di proiettarsi verso un nuovo inizio. Riprenderà proprio dalla fine di “Overload 3”. Ci sarà spazio per ciò che è stata negli anni la scena rock italiana, la penetrazione di questo genere nella cultura e nella tradizione musicale italiana, ma soprattutto rivolgerà lo sguardo verso il futuro della musica, partendo proprio da quello che sta alla base: la passione. Inizierò a lavorarci nei primi mesi del 2013.

Lo hai girato autonomamente oppure con l’aiuto di altri, per esempio di un fonico, un cameraman, un montatore?
“Overload” è un progetto completamente a budget zero. Tutto è partito con un’idea e una telecamera. Ho portato avanti tutto da solo ma nel tempo hanno poi sposato questa causa un paio di amici, che condividono con me anche altre situazioni lavorative, e un giornalista professionista con un ricco background musicale alle spalle, David Tonello, che dopo alcune interviste fatte da me, è entrato a far parte della squadra dandomi non solo la possibilità di tornare nel mio ruolo più naturale, dietro la telecamera, ma portando a tutto il progetto anche contenuti e traiettorie di approfondimento che da solo non sarei mai stato in grado di sostenere.

Quanto tempo ti ha preso la parte organizzativa e quanto il montaggio dei pezzi?
La fase organizzativa è quella che ha maggiormente allungato i tempi e non nascondo che molte delle nostre richieste di intervista non hanno nemmeno ricevuto risposta. Quando non hai nessuna casa di produzione alle spalle, nessun logo o etichetta ma hai solo il tuo nome che parla per te è purtroppo frequente che questo accada e le difficoltà a cui vai incontro sono molte e più difficili da affrontare. Probabilmente molti artisti preferiscono fare solo interviste per promuovere sé stessi e la propria attività. Sono riuscito ad ottenere circa una trentina di interviste grazie al fatto che una buona parte degli artisti che hanno partecipato lo hanno fatto solo perché già mi conoscevano.
Purtroppo non attraversiamo un periodo storico in cui iniziative come queste vengono sostenute, alimentate, incentivate o valorizzate in qualsiasi modo. Non vedrete mai “Overload” in televisione, e come il mio sono sicuro che esistono decine di altri progetti, magari anche tecnicamente migliori, ma che non troveranno nessuno spazio al di fuori che Youtube. Questa è una delle analogie che ho trovato tra il mio lavoro e quello di molti musicisti.
Quello che avete visto è il risultato di un lavoro portato avanti unicamente con le proprie forze, ma alla fine, rivedendolo, forse è più gratificante così.
Tornando alla tua domanda sulla mole di lavoro, la raccolta del materiale è andata avanti da Aprile 2010 a Giugno 2011. Successivamente ho preso un periodo di pausa per potermi approcciare poi al montaggio nella maniera più distaccata possibile. Il montaggio è la parte più dispendiosa e impegnativa e tra il riascolto approfondito di tutte le interviste, la scelta dei pezzi da inserire, la creazione di una struttura narrativa, il montaggio vero e proprio e i vari processi di post produzione e tutto il resto servono almeno 30-45 giorni dedicati…con tutte le difficoltà del caso quando ti trovi a poterci dedicare solo il tempo che il lavoro principale, quello “pagato”, ti lascia a disposizione.

Ho notato che intervistando alcuni autori stranieri ci sono dei sottotitoli in italiano, mentre per altri non ci sono. Perché? Provvederai a modificare questa cosa?
Non c’è un motivo in particolare, solo una questione di tempo a disposizione per poterlo fare. Di tutti i documentari c’è una prima versione, senza sottotitoli, e una Extended Cut proposta successivamente, in cui ho sistemato alcune imperfezioni sfuggitemi al primo montaggio, aggiunto qualcosa e inseriti i sottotitoli nelle parti in inglese. Quando riuscirò a trovare il tempo, metterò i sottotitoli anche nel terzo…e i titoli di coda di cui mi sono completamente dimenticato!

Daniele Farina, chi è? Voglio dire sentivo parlare di “Overload”, l’ho guardato con attenzione, di conseguenza mi son chiesto poi chi lo avesse concepito. Presentati ai nostri lettori. La domanda è posta alla fine, ma è arrivato a noi prima il tuo documentario, ma Daniele è sicuramente qualcos’altro. Dicci di te e del tuo lavoro, anche passato.
Sono solo, usando un termine che ormai va tanto in voga, un “film-maker” come tanti, il cui successo principale è quello di riuscire ancora a viverci venendo pagato per tenere una telecamera in mano. Vado avanti grazie a qualche piccola produzione televisiva, a qualche collaborazione saltuaria e arrangiandomi con le difficoltà e le incertezze tipiche non solo di questo lavoro, ma di quelle di tutti in diversi settori. Ho una passione particolare per i videoclip e ho avuto la possibilità di farne un paio rock-metal, ma ultimamente mi sto trovando, involontariamente e con dispiacere, ad abbandonare pian piano questa strada perché, dopo qualche lavoro saltato, ho capito di avere un modo forse troppo passionale e personale di immaginarli e concepirli che probabilmente trova poco riscontro in situazioni dove il videoclip viene visto più come “un altro” palco su cui esibirsi, un contesto in cui l’ego dell’artista è sempre in prima linea e il fine è solo quello di creare un pretesto per far passare la canzone su qualche canale o su qualche sito in più, piuttosto che un’occasione per valorizzare, approfondire, interpretare ancora di più la comunicazione musicale che si sta proponendo.
Molti ne fanno un discorso principalmente economico, ma io rispondo sempre che l’idea non costa nulla, e “Overload” è anche un mio personale modo di dimostrarlo.
Per cui vado avanti così, contento per quello che posso fare e con la ricerca quotidiana di fare sempre meglio non tanto per gli altri, ma per se stessi. Non c’è cosa migliore che riguardare un vecchio lavoro fatto e, anche se col tempo rivedi errori e di cose che potevano esser fatte meglio, esserne contenti sapendo di aver dato il massimo in quel momento.

Ti ringrazio ancora per la tua disponibilità. Rivolgiti pure ai lettori per concludere questa intervista.
Sfrutterei questo spazio per fare alcuni ringraziamenti.
Prima di tutto ringrazio Metalhead per lo spazio e l’interesse verso i miei lavori e tutti i lettori che hanno avuto la pazienza e l’attenzione per seguire i documentari e questa intervista.
Ringrazio poi David Tonello, Loris Marinoni e Alessandro Vivarini che mi hanno aiutato a realizzare questo progetto.
Ringrazio tutti gli artisti che hanno partecipato, non solo per i contenuti offerti e per la disponibilità, ma anche per la fiducia che hanno riposto nei miei confronti prestandosi ad un progetto verso il quale soltanto io avevo la visione d’insieme.
La speranza è che le quasi 3 ore di discussioni nei tre “Overload” usciti finora abbiano dato qualche spunto di riflessione non solo ai musicisti ma anche a chi si approccia, come me, alla musica come semplice fruitore.
Pur consapevoli che questo paese non offre possibilità a realtà come queste di avere nessun tipo di riscontro, spero però che vedere realizzato un progetto del genere a 0 euro possa dare anche ad altre persone come me in qualche modo una piccola spinta, un po’ di fiducia in più per mandare avanti i propri progetti, tenendo presente che i miei “Overload” raccontano le difficoltà non solo dei musicisti, ma anche di altre figure professionali come la mia che ogni giorno trovano porte chiuse. Non mollate.

(Alberto Vitale)

(foto fornite da D.Farina: 1°Denis Stratton, 2°P.Scotto, M.Maionchi, 3°D.Farina)

Overload