SONY DSCRaramente capita che un solo EP susciti tanto interesse, ma per i Saturn and Melancholy è stato così… e dunque ecco la band che si espone alle domande di MetalHead! Buona lettura con le intelligenti e colte risposte della formazione veneta, già al lavoro su ulteriore materiale.

Salve ragazzi, come da copione potremmo iniziare con una presentazione della band e delle sue precedenti attività!
Saturn and Melancholy è un progetto musicale nato nel 2008, composto da 3 elementi: Nicola Angelillis – voce e chitarre, Sandro Moro – chitarre, Francesco Moro – Batteria e percussioni, con la collaborazione di diversi bassisti. Il nostro primo lavoro è un demo composto da 5 pezzi, dal titolo The common neural basis of seeing and feeling disgust, che ha ottenuto un discreto interesse, permettendoci di suonare in varie situazioni, da rock club a librerie, sia in versione elettrica che acustica. Con questo demo abbiamo tracciato le linee stilistiche che abbiamo poi approfondito nei nostri successivi lavori, alcuni dei quali sono raccolti nel recente EP Sum over histories, apprezzato tra gli altri dagli organizzatori del festival Sexto’Nplugged, che ci hanno chiamato con nostra enorme soddisfazione ad aprire una serata dell’ultima edizione.

Che cosa significa per voi il nome che avete scelto, piuttosto inusuale?
Saturn and Melancholy è il titolo di un saggio di Klibansky, Panofsky e Saxl a cui siamo molto legati. Il primo motivo per cui abbiamo scelto questo nome è la forte connessione che sussiste tra l’atmosfera della musica che proponiamo e lo stato d’animo malinconico. Sebbene il termine “malinconia” assuma nel linguaggio comune significati anche abbastanza distanti tra di loro, ci sembrava che tutti questi ritornassero costantemente nel nostro modo di intendere e di fare musica, che passa da momenti nostalgici a momenti di ansia e depressione, fino a tramutarsi a volte in aggressività e anarchia sonora.
In secondo luogo il nome richiama la tradizione filosofico – astrologica che lega il temperamento malinconico al segno di Saturno, ovvero il collegamento tra le vicende del mondo e le stelle, che per noi indica simbolicamente la dipendenza da qualcosa di non controllabile, che rende la nostra musica una necessità più che una scelta deliberata.
C’è anche un lato più ironico: proprio questa influenza attribuita a Saturno, tradizionalmente intesa come negativa e ostacolante nei confronti di tutte le attività intraprese sotto il suo segno, ci è sembrata manifestarsi in moltissime occasioni della nostra esperienza in ambito musicale, fino quasi a convincerci dell’assoluta vanità e inutilità dei nostri sforzi.

Del vostro ultimo EP apprezzo in modo particolare le ultime due tracce, “Invisible” e “Howl”… ne discutiamo più approfonditamente?
Invisible è un pezzo molto introspettivo, ma nello stesso tempo, a nostro avviso, tra i più immediatamente comprensibili e orecchiabili che abbiamo fatto. Forse è questo che lo fa valutare anche a noi come uno dei nostri migliori esperimenti. Il punto di partenza è una chitarra molto dolce e ripetitiva, da cui ci si può lasciar trasportare, ma questo trasporto è poi continuamente interrotto da pause, che nel ritornello fermano il procedere della melodia ad ogni frase. In questo modo abbiamo cercato di accrescere la drammaticità del tutto, fissando dei momenti a sé stanti su cui chi ascolta è portato a soffermarsi senza avere in realtà il tempo e la possibilità di farlo, perché immediatamente incalzato dal momento successivo. L’idea del titolo è presa da uno “stato” di un famoso Social Network, che si verifica quando una persona si connette senza che i suoi contatti la possano vedere. Invisibile è però anche la relazione tra le cose, ovvero ciò che è essenziale, per cui la parola racchiude in sé un insieme di significati abbastanza ampio da rendere il senso del pezzo suscettibile di diverse interpretazioni, cosa questa che di solito ricerchiamo.
Howl è un brano molto diretto, in cui l’aggressività e l’ossessività, in particolare della sezione ritmica, ci sembravano in grado di creare un forte impatto. Abbiamo scelto di tenere la voce “compressa” in modo da far risultare il tutto costretto in una formalità e un ordine vincolante, ma sempre sul punto di essere trasgredito. Ci hanno fatto notare come, nonostante il titolo “urlo”, non siano presenti parti urlate nella canzone. Il motivo sta probabilmente nel fatto che avevamo in mente un’immagine più universale, un “urlare” più incomprensibile e incontrollato rispetto a quello umano (il primo significato di ‘Howl’ è infatti ‘ululare’), che risuona nel falsetto e nel testo del ritornello. Il finale è una lunga parte strumentale in cui quattro chitarre, due delle quali in reverse, si sovrappongono man mano una sull’altra: un’esplosione che sembra quasi una liberazione di quanto fino a quel punto contenuto.

Quali sono i vostri principali riferimenti musicali? Ho sentito da più parti fare il nome dei Muse, ma personalmente nel vostro sound sento molto altro…
In effetti, nonostante ci sia comprensibile come si possano riscontrare delle affinità tra la nostra musica e i Muse, e nonostante la stima che abbiamo nei confronti di questo gruppo, non ce la sentiremmo di annoverarlo tra i nostri riferimenti. Siamo molto più legati al filone dark – new wave: tra i nostri principali ascolti ci sono sicuramente gli Smiths, i Cure, i Depeche Mode, i Placebo, gli Editors, anche se poi i nostri interessi spaziano dal folk all’indie-rock. Attualmente siamo molto attratti da esperienze musicali che ci sembrano cercare di ridurre al massimo negli arrangiamenti tutti gli aspetti ridondanti, per arrivare alla massima essenzialità, pensiamo ad esempio all’ultimo lavoro di Feist o ad alcune cose di Anthony and the Johnsons.

Quando scrivete di riferirvi anche all’ “estetica post-dark”, cosa intendete di preciso?
Parlando in generale, non amiamo quella specie di “mania definitoria” in voga, che etichetta come nuovo genere qualsiasi minima sfumatura diversa del rock. Tuttavia, e con le dovute cautele, il termine “post dark” ci sembrava sufficientemente generico per poter farci rientrare l’espressività che, pur riconducibile al dark nel suo “mood” essenziale, abbiamo cercato di indirizzare anche verso altri territori.
Per esempio, musicalmente: un uso minimal della chitarra elettrica, a volte monocorde, che vuole essere senz’altro presente nell’armonizzazione, ma in maniera discreta. Un uscire dall’ombra e un qualche istante dopo ritornarvi. Tuttavia, rispetto all’”ortodossia dark”, noi tendiamo a prediligere gli accordi aperti, ad armonizzare la chitarra elettrica preferibilmente con la chitarra acustica, anch’essa il più possibile essenziale, piuttosto che con l’elettronica.

Qual è la situazione della scena alternative rock dalle vostre parti? C’è interesse attorno alla vostra musica e al genere che suonate?
Ogni volta che rispondiamo a questa domanda diciamo la verità, vale a dire che è davvero molto difficile riuscire a suonare dalla nostre parti, tutti si stupiscono dicendoci “Ma come? Siete vicini a Pordenone, è sempre stata una zona di grande fermento”. Che l’underground pordenonese sia sempre attivo, questo è vero, anzi negli ultimi anni si è assistito ad un incremento esponenziale delle band. Tuttavia in contemporanea a ciò si è avuta una drastica diminuzione dei locali stile “rock-club”. Piuttosto si riescono a trovare molti “bar” o pub in cui si può suonare a patto che sia tu a portati dietro il pubblico-avventore. Non mancano anche i casi in cui i pub cercano “cover-band-only”. Si può dire quindi che non esistano quasi più locali con un loro pubblico interessato alla musica alternativa e che diano spazio alle band locali che suonano musica originale.
Gli unici rock-club che continuano a sopravvivere sono difficilmente accessibili alle band indipendenti, a meno che non ci si adegui a partecipare a qualche “concorsone”, o non si conosca direttamente il gestore.
La situazione per quel che riguarda la nostra musica, almeno stando alla nostra statistica personale, è, se possibile, ancor più deprimente e gli “art-director” interessati al nostro genere sono davvero pochi. Tuttavia recentemente abbiamo avuto la grande soddisfazione di essere stati scelti per l’apertura della serata del 27-07-2012 della settima edizione del Festival “Sexto’Nplugged” a Sesto al Reghena (PN), che noi abbiamo sempre considerato uno tra i migliori festival di musica alternativa del Triveneto. Una perla rara.

Quanto contano invece l’immagine che date della band e quella che offrite sul palco nell’economia del vostro progetto musicale?
L’immagine che cerchiamo di dare della band in generale e nelle esibizioni live non è legata a qualche idea programmatica. Non siamo un band che, per così dire, si sceglie i vestiti di scena o che costruisce delle esibizioni teatrali. Per noi la priorità è sempre la musica, se poi il pubblico, oltre a ricordarsi le canzoni, le associa anche ad una band elegante, beh… questo sarebbe perfetto.

Questione live shows: vi esibite con regolarità? Lo avete mai fatto fuori dall’Italia?
La risposta a questa domanda si ricollega a quanto abbiamo già detto in merito alla scena alternative rock della nostra zona.
Purtroppo è praticamente impossibile riuscire ad esibirsi con regolarità, a meno che non si accetti di suonare in ambienti ristretti e spesso inadatti, non in grado di attrarre un pubblico al di fuori di quello che ti porti direttamente tu. Per quello che vediamo, la situazione non ci sembra cambiare granché neppure affidandosi ad agenzie di booking. Per questi motivi rinunciamo volentieri a un calendario fitto di date in posti in cui non vale sempre la pena suonare, ma privilegiamo palcoscenici di maggior qualità in cui è possibile esprimersi al meglio e di fronte a un pubblico interessato.
Per quel che riguarda l’estero, ad oggi non ci siamo ancora mossi su questo fronte, ma ci stiamo pensando.

Quando ascolteremo un album intero da parte vostra? Avete già iniziato a lavorare in merito?
Stiamo già lavorando a nuovi pezzi, e ne abbiamo già pronti molti altri. Per fortuna non abbiamo mai perso la vena creativa! Per quanto riguarda un album intero, ci piacerebbe che la cosa potesse prendere forma a partire da un reale interesse di qualche etichetta, e che non fosse il solito album auto-prodotto. Al momento siamo in attesa di qualche riscontro.

Lascio naturalmente a voi la conclusione dell’intervista… buona fortuna!
Come conclusione ci teniamo semplicemente a ringraziarti per l’interesse che hai dimostrato nei confronti del nostro cd e per l’attenzione con cui ci sembra che tu abbia ascoltato e capito nell’essenziale il nostro lavoro. Speriamo di avere presto l’occasione di sentire la tua opinione su un album completo.

 

(Renato de Filippis)

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