fotoshadowsofsteelÈ da poco uscito, dopo anni di silenzio discografico, “Crown of Steel”, il nuovo disco degli Shadows of Steel. Ne discutiamo con Wild Steel, che ci offre anche la sua visione sulla situazione attuale del metal in Italia. Buona lettura!

Salve Wild Steel, e benvenuto sulle pagine di MetalHead.it! Allora, come è tornare in pista dopo tanti anni di silenzio?
Un saluto a tutta la redazione e ai lettori; avere finalmente ultimato il nostro nuovo lavoro è elettrizzante come sempre, siamo ansiosi di vedere come reagirà il pubblico, allo stesso tempo vogliamo proporre il nuovo materiale dal vivo.

La domanda successiva è ovviamente scontata: come mai uno iato così lungo? Davvero – come scrivete sul vostro sito ufficiale – la tiepida risposta del pubblico nei confronti di “Second Floor” vi ha fatto desistere? A distanza di anni lo ritengo ancora un ottimo album di Italian power metal…
Probabilmente, come dici tu, “Second Floor” è un disco dai contenuti validi, purtroppo uscì con grande ritardo, in un momento non favorevole, in più la produzione non fu eccellente, soprattutto il mastering ai Finnvox fu deludente, al tempo non ci sembrò male ma col passare del tempo ci rendemmo conto che il suono non avrebbe retto il passare del tempo, ascoltarlo oggi mi risulta fastidioso. Altro motivo fu il mio polso leggero a livello di gestione di gruppo, insomma avrei dovuto dare direttive più ferree senza farmi influenzare da opinioni differenti dalle mie, anche se può sembrare sgradevole per gestire un progetto come gli Shadows of Steel c’è bisogno di molta autorità…

E come hai trovato la situazione dopo circa dieci anni di assenza? Migliore, peggiore… o tutto è cambiato perché in fondo non cambiasse niente?
Credo che in questo momento la situazione sia favorevole, c’è molta calma e ordine nel panorama che ci riguarda, grazie ad internet ed anche ai social network il pubblico può avere facile accesso al materiale che reputa di interesse. Ad inizio del nuovo millennio tutti pubblicavano dischi, c’era molta confusione anche perché chi ne aveva la possibilità cercava di cavalcare l’onda il più possibile, anche i produttori, studi di registrazione e le case discografiche avevano molto lavoro, il che portava spesso a fare le cose di fretta ottenendo risultati a volte non professionali, vedi il caso “Second Floor”. Ora la situazione è cambiata totalmente, si fatica a trovare un contratto discografico e quindi solo chi propone materiale valido riesce ad andare avanti. In pratica abbiamo aspettato che si calmassero le acque per tornare in pista, è giunto ora il momento della resa dei conti, chi in passato ha peccato di presunzione o ha prevaricato altri grazie ad amicizie compiacenti in ambito editoriale e discografico ora dovrà dimostrare di avere le carte in regola per rimanere a galla. Dal canto nostro noi pensiamo di avere queste carte ed ora è arrivato il momento di giocarle!

Veniamo adesso a una descrizione generale di “Crown of Steel”, il disco del comeback! Chi si è occupato prevalentemente del songwriting? Come è stato il processo di registrazione?
La produzione di questo disco è stata affidata in primis a Frank Andiver che si è occupato del songwriting di quasi tutto il materiale, in seconda battuta ho modificato alcune melodie, aggiunto e arrangiato alcune cose qua e là, scritto i testi mentre il chitarrista Ice si è occupato degli arrangiamenti di chitarra, in seguito Steve al basso e Yackson hanno registrato le rispettive parti ed assoli fino ad arrivare al ritorno di Andrew Mc Pauls che aggiunto alcune parti di tastiera ed assoli oltre a quelle già presenti, sempre ad opera di Frank Andiver. Il risultato è questo disco molto semplice, fresco e diretto ma allo stesso tempo molto elaborato a livello di songwiting ed arrangiamenti.

La titletrack e “Cast away”, i pezzi agli estremi del disco, sono quelli che mi hanno colpito maggiormente. Possiamo parlarne in modo più approfondito?
In principio “Cast Away” doveva essere il brano di apertura mentre “Crown of Steel” avrebbe dovuto chiudere il disco, questo ribaltamento è avvenuto in seguito a diversi ascolti e prove di tracklist dell’intero disco. “Cast Away” è il brano che ha richiesto più lavoro in fase di mixaggio, è un brano molto valido, racchiude in se diversi aspetti del nostro sound e le varie influenze, nel contempo ha caratteristiche evocative ed è stato investito del compito di introdurre l’ascoltatore, in chiusura al disco, a quello che sarà il nostro futuro. Per quanto riguarda “Crown of Steel” si tratto dell’ultimo brano composto all’interno di questo album, è istintivo, soprattutto la linea vocale ed il testo, riassume la mia essenza e quello che sono per me gli Shadows of Steel.

Ci sarà occasione di vedervi dal vivo? Solo qualche data selezionata o un vero e proprio tour?
Per il momento stiamo programmando alcune date promozionali, per un vero e proprio tour bisognerà aspettare che qualche promotore si faccia avanti, diversamente se ne parlerà per il prossimo disco, che a questo punto sarà veramente esplosivo…

Cosa pensate dei Vision Divine e dei Labyrinth, forse le due band il cui sound si avvicina maggiormente al vostro? La domanda è ovviamente tendenziosa, so bene che membri di entrambe le formazioni hanno militato o militano negli Shadows!
Quando ascolta nel ’96 il singolo “Piece of Time” dei Labyrinth rimasi colpito dal sound innovativo, è innegabile che per molti aspetti ho cercato di rifarmi anche al loro stile oltre che alle mie influenze, repentinamente ci furono numerosi avvicendamenti nella loro formazione, di sicuro meritano il successo che hanno avuto, che per certi versi so di avere favorito: non dimentichiamo che De Paoli è stato membro co-fondatore degli Shadows of Steel prima di essere uno dei Labyrinth, e che mia fu la ‘soffiata’ di Tiranti come sostituto di Lione!

Cosa pensi della Underground Symphony, la vostra etichetta? Per me rappresenta, in modo quasi naturale, l’ultimo baluardo di un certo modo di fare metal in Italia…
Produce dischi per passione, con tutti i pro e i contro che questo comporta…

Domanda che avrei sempre voluto farti: perché indossi quella maschera e cosa significa esattamente per te?
Nel 1995 i Kamelot pubblicarono il loro debut album, a quel tempo c’era che credeva che il vocalist (Mark Vanderbilt) fosse in realtà Midnight dei Crimson Glory, band proveniente dalla stessa zona di cui si erano perse le tracce dopo la pubblicazione del terzo controverso disco “Strange and Beautiful”, ovviamente come tutti sanno questo non era vero. Questo preambolo può sembrare non c’entri nulla, se non che in quello stesso periodo stavo lavorando con la mia vecchia band (i Projecto) per pubblicare il nostro disco d’esordio che poi uscì invece con un altro cantante, purtroppo le mie prestazioni erano tutt’altro che eccellenti e quindi dopo un esame della situazione decisi di reinventarmi prendendo spunto dai Crimson Glory e Kamelot, ovvero cambiare modo di cantare, nome e indossare una maschera, in pratica un nuovo cantante per la mia vecchia band. Tutto questo però non fu realizzato e fui costretto ad abbandonare il gruppo per incompatibilità con gli altri membri, decisi allora di utilizzare questa idea per un nuovo progetto, ovvero gli Shadows of Steel. Il nuovo me si sarebbe chiamato Wild Steel da cui deriva poi il nome della band, Wild perché rappresenta la parte selvaggia, animale, libera di esprimersi come non aveva mai potuto fare in precedenza.

Lascio a te naturalmente la fine dell’intervista. Grazie per il vostro tempo, in bocca al lupo e a presto!
Grazie a voi per lo spazio concesso, spero di incontrare tutti voi ed i lettori ai nostri prossimi concerti.

Stay Wild.

(Renato de Filippis)

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