La terza edizione del Porto Live Metal Fest si è presentata con sapore particolare enfatizzato dalla favolosa location dove le sferzanti note musicali si potevano diffondere e disperdere verso la calma infinità del mare.

Il sapore particolare derivava dal fatto che gli headliners, quest’anno, sono stati i Death SS, una band che non è semplicemente una band, sicuramente completamente diversa dalle tantissime realtà della scena; questo per il fatto che i Death SS sono, senza dubbio, un culto. Non una band di culto… loro sono IL culto.

Ogni band più o meno grossa annovera un nutrito numero di fans. Ci sono i fedelissimi. Alcune band hanno un seguito mostruoso e costante (ad esempio Iron Maiden o AC/DC). Ma, anche in questo caso i Death SS sono una cosa diversa, si collocano su in piano differente . Ormai in circolazione da oltre 40 anni, i Death SS sono conosciuti in tutto il mondo, ma non sono mai stati una band elitaria… ma allo stesso tempo non sono mai nemmeno stati una band underground… e la fanbase che li supporta non è una qualunque fanbase: si tratta piuttosto di una casta, forse una setta, un movimento occulto che annovera un sacco di gente… dall’appassionato qualunque fino al collezionista malato che venderebbe un rene per entrare in possesso di qualsiasi cosa legata alla band, dal disco serie limitata fino al bootleg stampato in poche copie, dalla rarità all’autografo, fino a qualsiasi elemento assurdo… tanto che mi chiedo quando possa valere un capello di Steve o una bottiglia dalla quale lui ha sorseggiato, lasciandoci inevitabilmente il suo vampiresco DNA, durante quella maratona sportiva chiamata concerto.

C’è venerazione nei confronti di Steve & Co. Non è fanatismo qualsiasi, cosa comune nel mondo del rock, è proprio quel qualcosa di diverso, tanto che i seguaci della setta definiscono il frontman “Maestro”. Questo allineamento spirituale con la band, questo alone di mistero ma anche questa vicinanza della band ai suoi fans, questa incessante ricerca delle reliquia “sacra”… rende i Death SS un caso quasi unico, una dimensione eterea ed oscura paragonabile a certe storie arcane provenienti da altre scene quali il black metal norvegese (il pezzo di teschio di Dead dei Mayhem suona quasi dilettantesco confrontato con l’aura contemplativa generata dai Death SS).

È per questo che il Porto Live Metal Fest 2019 non è solo un concerto, non è solo un festival, ma è in verità un raduno, un rito, un sacrificio che vede moltiSSimi membri del Cursed Coven (la setta ufficiale dei seguaci della band), i quali si mescolano poi con l’ecosistema della Black Widow Records, organizzatore ma anche etichetta legata alla stessa band o ai suoi membri (l’ultimo album solista di Freddy Delirio è infatti uscito per questa label).

Il backstage del festival è molto animato. Ci sono ben sei band in scaletta ed i preparativi sono pieni di animazione. L’area spaziosa ed elegante permette a tutte le band di organizzarsi ordinatamente, con cambi palco veloci ed una ottima puntualità. Le band con meno esperienza mostrano ovvia agitazione… si stanno per esibire davanti ad un manipolo di metallers provenienti da tutta Italia… ma il palcoscenico diventa una valvola di sfogo, un posto dove le paure se ne vanno lasciando esplodere la musica.

I No Regrets hanno il duro compito di aprire il pomeriggio, suonando con la luce del sole, seguiti dai dinamici Chaos Factory. Entrambe le band sono giovani, ma determinate. Carriere ancora agli inizi, ma i ragazzi non temono il pubblico e danno il loro meglio per avviare questa edizione del festival, il quale sapientemente ambisce a nomi importanti ma non nega lo spazio necessario per mettere in evidenza delle realtà emergenti.

Il sangue inizia a scorrere con i grandiosi Damnation Gallery capitanati dalla demoniaca Scarlet! L’unica band del bill che scenograficamente si avvicina agli headliners, non si fa intimorire dall’esibizione in un orario ancora illuminato dalla bellissima giornata, ed offre uno spettacolo grintoso che -come il loro stile- mescola sonorità pesanti con l’horror metal.

Headbanging e pulsazioni travolgenti con i Black Oath, i quali forti dell’ultimo “Behold the Abyss” (recensione qui) offrono un concerto potentissimo, grintoso, pieno di esaltante energia.

La violenza arriva poi con gli esplosivi Antropofagus: death metal spietato, crudele ma anche divertente ed ironico (i pezzi più crudeli sono presentati come ‘ballads’!). Un death metal corposo, tecnico, suonato in maniera impeccabile. Death metal di quello sano, death metal diretto, immediato e massacrante.

Inizia infine la vera e propria celebrazione di quello che, in molti, definivano un venerdì santo. Inizia la Black Mass. Ed i Death SS si esibiscono in un concerto superlativo, definito da molti uno dei migliori di sempre. Oscuri e dissacranti, scenografici ed offensivi, con un batterista (session) fenomenale, Glenn Strange meravigliosamente scatenato, Al Denoble capace di spingere la chitarra a livelli virtuosi, mentre là dietro Freddy Delirio instaura quel clima mistico e pregno di malvagità che caratterizza i riti magici dei Death SS.

Eroticamente irresistibili le diaboliche e perverse performers femminili, minacciosi ed inquietanti gli occulti performers maschili… un team di attori e ballerini capaci di dare una vera teatralità allo spettacolo che questa band unica riesce a mettere in scena ogni maledetta volta che sale su un palco, ogni volta che questo ‘circo della morte’ arriva in città.

E Steve Sylvester?

Il santone, il reverendo, si, perché no, il maestro. Sempre in perfetta forma, una mente perversa rinchiusa in un corpo che si rifiuta di invecchiare… eterno giovane, eterno signore delle tenebre, essere che appartiene a tante dimensioni e forse a nessuna, figura diabolica sul palco, ma cortese e gentile nel backstage… anche se costantemente avvolto da un alone di mistero mistico.

Un artista che ha creato un personaggio il quale si è impossessato dell’artista stesso. Ho incontrato molte volte Steve Sylvester, anche al di fuori del contesto live e sono ormai certo che il Sig. Stefano Silvestri sia deceduto tanti anni fa… ed oggi quel suo corpo, forse in circolazione da molti secoli, ospita Steve Sylvester, ovvero quel demone, la creatura del Silvestri, la quale si è evoluta, è diventata un’entità indipendente, prendendo il controllo del suo creatore, assorbendone corpo e anima… con un unico obiettivo: dar inizio a questo sabbath e spingerlo verso l’eternità.

Ogni brano della scaletta è suonato in maniera impeccabile. Dal vivo certi brani come “Madness of Love” risultano semplicemente immensi. Canzoni come “Hi-Tech Jesus” o “Panic” sferzano l’atmosfera con brutale cattiveria, mentre classici storici come “Horrible Eyes” si rivelano tutt’oggi della mazzate poderose.

Il giorno dopo ha un sapore strano. La stupenda giornata in questa città accarezzata dal mare sembra incompatibile con la pazzia, con l’Armageddon della serata precedente. Gente devastata ancora vestita di nero, sotto un sole martellante, vaga per la città, in preda a qualche magnetismo esoterico il quale li attrae tutti al punto di incontro comune: la Black Widow Records! Un negozio d’altri tempi con a disposizione una tale quantità di vinili anche introvabili da far impallidire qualsiasi negozio moderno o online. Un negozio quasi occupato da una clientela di appassionati! Alla Black Widow pulsa proprio la sintesi della passione di coloro che sanno vivere o che hanno vissuto la musica vera, l’intimo piacere del vinile e della musica che si fa desiderare come una bellissima donna la quale vuol farsi corteggiare… esattamente il contrario di quel concetto di musica più o meno gratuitamente disponibile in bassa qualità da qualsiasi diavoleria elettronica.

Mentre mi abbandono all’intera sezione dedicata solo agli Hawkwind (si, anche io ho i miei indicibili segreti), capisco che questo negozio non è solo un punto vendita, ma è veramente un punto di incontro! Infatti non tarda ad arrivare Freddy Delirio, ancora devastato dal superbo concerto della sera precedente, ma voglioso di incontrare i fans, gli appassionati, i veri amanti della musica. Mi rivela che anche lui adora posti come questo e si dichiara impressionato da quella sincera ed elettrizzante vibrazione che viene emanata da questo antro disperso nel labirintico centro di Genova.

Passione vera. Musica vera. Tutto dannatamente vero, dagli artisti agli organizzatori. Sembra quasi un salto indietro nel tempo… mi sembra esser tornato il ragazzino che ogni fine settimana faceva l’unica cosa importante da fare all’epoca: andare a comprare uno o due dischi, per poi correre ansioso a casa per poter assaporare qualsivoglia melodia fosse celata tra quei sensuali solchi di nero vinile.

Rock ‘n’ Roll Armageddon. Il Ragnarök del metal. Totale distruzione.
Ma questo rock’n’roll è più vivo che mai, e il giorno del giudizio è per fortuna lontano. Un rock’n’roll che ci salverà tutti.

O forse no?
C’è ancora una vena distruttiva, ribelle e devastante.
Glenn Strange a fine concerto fa a pezzi il suo basso con ira funesta, percuotendolo ripetutamente contro il pavimento, frantumandolo senza rispetto.
Schegge che volano. Componenti che si disperdono… parti mutilate lanciate al pubblico.

Fortunato il fan che è riuscito a prendere al volo la parte più grossa di quel povero strumento musicale violentato!
Uno strumento musicale distrutto.
La sintesi di quel fantastico Armageddon messo in scena quel venerdì santo!
Il souvenir estremo.
Un ricordo terrificante
Quel cimelio deviato.
La reliquia.
Un sacro reperto direttamente da quel macabro altare, da quella cerimonia perversa, da quel luogo sconsacrato, da quella congrega di demoni.

(Luca Zakk)