(Scarlet Records) Una trave d’acciaio che improvvisamente vi viene scaraventata sui denti, lacerando, devastando, rompendo. Sangue che scorre, dolore micidiale, devastazione dei sensi, perdita del controllo, esplosione. Negli anni 80 e 90 bands come Anthrax, Dark Angel, Defiance ed Exodus erano capaci di scatenare sensazioni simili con la loro musica. Con ogni maledetto disco, e con ogni fottuta canzone. Oggi, quella è una musica data per defunta. Ma da chi? Illusi! Il thrash è una musica, che come ha sempre fatto, vi mostra il dito medio e se ne fotte di qualsiasi patetico giudizio della stampa, delle mode o delle tendenze. Il thrash bay area non è una cosa passeggera. Non è mai morto e non morirà mai. E’ un genere che riesce a resuscitare ogni volta, anche senza esser mai moto prima, creando nuovi livelli di pazzia sopra precedenti livelli di devastazione. Non mancano poi i grandi attori di questa furia cieca, anch’essi capaci di rigenerarsi, reinventarsi, riproporsi, per dilettare e soddisfare la nostra mania di distruzione, quella forza incendiaria, quella sincera ribellione che il thrash ha sempre saputo rappresentare. Cosa può dunque succedere quando personaggi appartenuti a Imagika, Dark Angel, Eldritch si mettono assieme con l’intenzione di creare un nuovo mostro di violenza e cattiveria? Ne esce veramente un brutale rituale assassino, un rituale composto da undici preghiere dissacranti, bestiali inni ad una religione che nega tutto, anche il suo dio, che porta al trionfo quell’urlo ancestrale istintivo del genere umano. Andy La Roque dietro il mixer (e guest player in “Coat Of Blood”), completa la congrega di demoni, il cui inferno viene permanentemente rinchiuso in questa ora di musica devastante, potente, brutale, diretta, schietta, nella maniera della vecchia scuola, madre di tutte le distorsioni, deviazioni, violenze sonore. L’album apre con la title track, la quale non lascia spazio a dubbi. Subito feroce, subito ricca di quelle melodie ultra veloci tipiche del genere, quel drumming incessante, quelle voci fantastiche spinte verso la tortura. Valanghe di riff, head banging permanente, deliziosa tortura delle vertebre. Pezzi di carne torturata ed ossa piegate, materiale per fisioterapisti: l’album regala fiumi di clienti a questa categoria medica, in quanto pezzi come “Torn Down”, pugni in alto, keep on thrashing, tributo alla snake pit, o la esplicita ”Old School Thrasher” non lasciano respirare, non lasciano rilassare, non danno alcuna via di scampo. “My Neighborhood”, brutale tributo a quelle notti senza pace, senza riposo, dove l’alcol è elemento dominante. Non avete passato notti allucinate? Quelle a base di fiumi di alcol, pacchetti di sigarette, amici che vomitano in giro?  Non avete pensato, al risveglio, che la morte vi ha risparmiato, ma forse era meglio se vi portava via? No? Album per altri, non è roba per voi. Toglietevi di mezzo, grazie. “Cold Hard Floor”, melodica e malvagia. “Coat of Blood”, aggressiva e massacrante. La super classica “Law of the Land”, dove la voce di Josh Gibson è un grido di pazzia, e dove gli strumenti creano una perversa macchina di tortura per menti. Un disco monumentale. Ogni pezzo trasuda bay area, nostalgia, passato che torna, più furioso di prima. C’è un pezzo in questo album, “The Day the World Dies”, il giorno della morte del mondo. Quel giorno è il 30 Ottobre 2012. Data della pubblicazione di “The Serpentine Ritual”. Tutto è cambiato. Il thrash vero è tornato. Assecondatelo con il vostro sangue ed il vostro sudore, o iniziate a correre. Veloci. La pietà non fa parte di questo piano. E se pensate di andarli a vedere dal vivo, si, contattatelo quel fisioterapista. Ne avrete bisogno. Sempre ammesso e non concesso che la vostra testa rimanga attaccata al collo.

(Luca Zakk) Voto: 9/10