Scrittore, giornalista musicale, biografo, Giovanni Rossi è la musica attraverso le parole, il racconto, le riflessioni. Tra le tante cose Rossi cura il blog Industrial [r]Evolution, stesso nome di un suo libro sulla storia della musica industrial. Quest’anno la Tsunami Edizioni ha riproposto, con contenuti ampliati, il suo “Roger Waters – Oltre il Muro”, un libro che traccia l’intera carriera del bassista dei Pink Floyd.

MH: È dunque un ritorno il tuo libro “Roger Waters – Oltre il Muro”. La Tsunami lo ripropone con capitoli e appendici aggiornati e nuovi e in più una copertina rinnovata. Nello specifico quali sono stati i nuovi interventi rispetto all’edizione del 2013?
GR: La nuova edizione (QUI recensita, ndr) presenta due capitoli in più in cui si raccontano gli ultimi tour di Waters e soprattutto il suo nuovo disco solista, un capitolo completamente modificato, quello della visita in Italia, l’appendice sulle cover fortemente arricchita ed una nuova appendice sullo studio della sua voce, un argomento forse troppo trascurato da chi ama Waters e i Pink Floyd. Inoltre in aggiunta alla nuova copertina c’è un ricco inserto fotografico a colori incentrato in particolare sul suo periodo più recente. Insomma, molto di più di una semplice ristampa. Non capita spesso che un editore ti dia la possibilità di rimettere le mani ad un libro in questo modo, perchè in tanti casi si preferisce la più semplice ed immediata soluzione della pura ristampa. Tsunami Edizioni, che aveva già sostenuto questo progetto cinque anni fa, ha invece creduto in questo sviluppo ed il risultato è davvero fantastico, se mi concedi un commento da fanatico di Waters!

MH: Quale idea ti sei fatto in definitiva di Roger Waters come persona? Nel tuo libro si legge la sua crescita o maturazione che sia, dagli anni ’70 a oggi.
GR: Waters è una persona che porta ancora i segni della sua vicenda personale, il non aver mai conosciuto il padre morto in guerra quando lui era appena nato. È cresciuto con un carattere forte, tenace, spigoloso e scontroso, poco incline alle relazioni interpersonali, ma al tempo stesso straordinariamente sensibile e generoso. Negli anni ha lavorato su di sé, smussando tante asperità e facendo pace con molti fantasmi. Il tutto si è tradotto in un musicista rigoroso, esigente da se stesso e dagli altri, sicuro, coraggioso, visionario e che non ha mai avuto paura di mettersi a nudo facendo del suo vissuto il suo centro di gravità compositivo. In molto immaginario della narrativa legata ai Pink Floyd, Waters è l’egomaniaco paranoico ossessionato dal controllo: nel mio libro ho cercato di fare luce anche su questa grossolana etichetta, mettendo in evidenza nel modo più corretto e completo possibile tutti i lati della sua persona.

MH: Ho avuto l’impressione che tu abbia voluto alleggerire la narrazione, i personaggi e gli aneddoti, mentre in alcuni punti, come ad esempio la realizzazione degli album, sia in epoca Pink Floyd che successiva, hai creato una focalizzazione maggiore. Penso a “The Wall”, al clima in cui nacque l’album, al Waters di quel periodo.
GR: Hai perfettamente ragione. Sui Pink Floyd ci sarebbe da scrivere un’enciclopedia, tante sono le storie che gravitano intorno al gruppo. Io ho fatto la scelta di focalizzarmi su quegli aspetti della vita di Waters che mi sembravano più interessanti e significativi per spiegare al meglio sia la persona che il compositore. “The Wall” è un’opera straordinaria che, al di là del suo valore musicale, consente di mettere a fuoco tantissimi lati della psicologia di Waters. È una sorta di suo personalissimo album famiglia, al pari e forse oltre “The Dark Side of the Moon”, dove in molti tratti la narrazione è meno personalizzata. E poi conta che venivo da un libro che in bozza superava i due milioni di battute: Tsunami non me l’avrebbe fatta passare liscia una seconda volta!

MH: Il materiale biografico reperibile su Roger Waters e gli altri Pink Floyd negli anni pre-internet, dunque libri, riviste, fanzine ecc., è di qualità superiore o inferiore rispetto a quanto si riesce a raccogliere oggi nella rete?
GR: Sono un po’ di parte in questa risposta, perchè fin da giovanissimo mi ero abbonato alla prima fanzine italiana sui Pink Floyd e ti devo dire che la qualità degli approfondimenti, considerato che internet non esisteva, era davvero notevole. Anche i libri scritti in quegli anni, ne ho molti, sono davvero notevoli. Tuttavia il periodo d’oro degli anni Settanta sconta una povertà di materiale derivante soprattutto dalla repulsione di Waters per i giornalisti, cosicché in alcuni anni si trovano pochissime, rare interviste. Oggi si riesce a recuperare molto di quel materiale, grazie alla tecnologia, ma tanti di quegli approfondimenti su carta che circolavano tra i fan sono rimasti a disposizione esclusiva degli appassionati. Un peccato in un certo senso, ma è anche il suo bello, romantico per certi versi!

MH: Di recente ho parlato di “Is This The Life We Really Want?”, l’ultimo album di Waters, con amici di lunga data e tutti lo ritengono un buon lavoro. Un album godibile. Leggendo il tuo libro ho inteso che Roger avesse semplicemente fatto delle nuove riflessioni. Quale opinione hai sull’album?
GR: Credo che sia l’album della maturità definitiva e che rispecchi perfettamente come è Roger Waters oggi. Non avrebbe potuto fare esattamente nulla di diverso, sia dal punto di vista compositivo che tematico. È un album che riallaccia tanti discorsi lasciati in sospeso e che Waters aveva toccato nei suoi lavori precedenti, ancora una volta grazie alla sua grande capacità di lettura dell’uomo e della società. C’è tanta amarezza, ma anche molta speranza, perchè la rabbia giovanile ha lasciato più spazio alla ragione. È su questo piano che Waters sembra voler invitare i potenti a misurarsi, mettendo da parte egoismi e interessi. Con questo non sto dicendo che Waters ha smesso di battersi e lottare per gli oppressi, ma che ha capito come occorra spostate i confronto su un piano più alto, facendo ragionare le persone e creando consapevolezza.

MH: Perché sei diventato un autore di biografie e quando hai capito di esserlo?
GR: L’ho scoperto con il tempo. Facendo interviste prima e scrivendo libri poi, mi sono accorto che il mio interesse era sempre più calamitato dalle vicende personali, oltre che da quelle prettamente artistiche. E che le prime sono indispensabili per comprendere le seconde. Non si può conoscere un artista senza conoscere la persona e le mie domande, alla fine, arrivavano sempre a lambire la dimensione personale. Come ha fatto un uomo a scrivere un disco, “The Dark Side of the Moon”, che per quarant’anni è stato nella top 500 americana? Perchè una persona arriva a concettualizzare un’opera complessissima come “The Wall”? Occorre sempre partire dall’uomo per capire l’artista ed io mi sono appassionato proprio agli artisti più estremi e complessi, quelli da cui poi sono nati incredibili capolavori.

MH: “Industrial [r]Evolution”, “Nine Inch Nails – Niente mi può fermare”, “Roger Waters – Oltre il Muro”, “Silence Is Sexy – L’avanguardia degli Einstürzende Neubauten” (insieme a Kyt Walken), “Led Zeppelin ‘71 – La notte del Vigorelli” e “Epic – Genio e Follia di Mike Patton”, tutti libri importanti e imponenti. Quale ti ha fatto faticare di più?
GR: Senza dubbio quello che uscirà a breve, ormai questione di settimane, anche se prudenza è d’obbligo. Si tratta della biografia dei Disciplinatha, il gruppo italiano che ho amato di più, un libro a cui ho iniziato a lavorare nell’aprile del 2014!

MH: Da pochi giorni leggo “The Lost Gospels According to Al Jourgensen” (ancora non tradotto in italiano, ndr). Un libro incredibile perché Al è esilarante e sbalorditivo! Al Jourgensen sarà un giorno oggetto di un tuo libro?
GR: Adoro Jourgensen ed avendo letto anch’io il suo libro non posso che confermare tutto il mio affetto incondizionato per questo pazzo. Un giorno mi piacerebbe davvero poter scrivere qualcosa su di lui, anche perchè sono dell’opinione che le autobiografie, proprio perchè provenienti dalla stessa mano del protagonista, a volte pecchino di inevitabili omissioni o letture di parte. E a proposito di questa bellissima opera di Jourgensen, ci sarebbero da raccontare gustosi episodi, screzi, voci di nemici e drammi che qui mancano…

MH: Una mia curiosità, hai mai lavorato a sceneggiature per teatro, cinema, radio o altro?
GR: No, sono ambiti su cui non mi sono mai cimentato fino a questo momento. Ma mai dire mai.

MH: Quali sono le tue ultime letture?
GR: Ho divorato “Io & Paul” di Stefano Greco, la storia del calciatore della Lazio Paul Gascoigne. Mi è piaciuta molto anche “Repertorio dei matti della città di Parma” di Paolo Nori (pubblicato da Marcos y Marcos, ndr). Sul comodino c’è invece “See you later”, la storia del grandissimo Guido Nicheli (attore, ndr) raccontata da Sandro Patè. Come vedi, anche nelle letture mi piace sempre frequentare personalità straordinariamente al limite.

MH: Il prossimo passo di Giovanni Rossi è…
GR: In imminente arrivo la biografia dei Disciplinatha, come dicevo prima. Dopodiché mi prenderò due annetti per lavorare su un vero peso massimo dell’estremo. E qui sì che saranno pianto e stridor di denti!

Precedente intervista del 2012
Recensione “Nine Inch Nails – Niente mi può fermare”
Recensione “Epic – Genio e Follia di Mike Patton”

(Alberto Vitale)