(Osmose Prod.) Desolati, tristi, certamente drammatici. Un esempio di doom decadente come nei primi anni ’90, ma in questo caso i suoni rispetto a venti anni fa sono molto più fragorosi, pieni. Tanta armonia data da accordi in polifonia, anche fraseggi e sequenze, ma ogni cosa doppia se stesso in questo sound rendendo tutto più maestoso, ampio e forte. Distorsioni che arrivano al limite, i suoni graffiano e si estendono con maestria. Il momento elevato dell’album è la strumentale e title track, un pezzo colmo di armonia, feeling e con chitarre acustiche e i solo dissonanti come protagonisti. Grazia e malinconia, sogno e melodie si alternano in un flusso struggente e definire doom questo pezzo sarebbe riduttivo. L’album si accosta agli ottanta minuti di durata con sei pezzi e tra i quali il monumento “A Picture of the Devouring Gloom Devouring the Spheres of Being” che raggiunge i ventidue minuti. “The Incubus of Karma” è ottanta minuti di malinconia eterna, di epica e non da meno di sensazioni intense. Quarta opera per la band australiana che tra assoli oscillanti e immense melodie che si addensano, riesce a creare un piccolo gioiello.

(Alberto Vitale) Voto: 8/10