(Avantgarde Music) Mi chiedevo, ai tempi del precedente “Tenebrosum” (recensione qui) il motivo per il quale una band come i Windfaerer era ‘costretta’ ad auto-prodursi un album, uscendo sul mercato senza etichetta. Non so se la mia domanda e stata premonitrice, ma è innegabile che il legame con l’italiana Avantgarde che pubblica questo album, sia quanto di più vicino alla perfezione, per sintonia, visione ed essenza della musica. Ancora una volta un viaggio spirituale nella nostalgia delle storie di immigrati, ovvero gli avi iberici del front man (il titolo dell’album, in spagnolo, significa “Anima”). Ancora una volta composizioni tra il folk ed un black trasversale, certamente americano (Panopticon o Agalloch per esempio), ma anche centro e nord europeo, un black viscerale, curato, atmosferico e maledettamente tagliente. Gli arrangiamenti rimangono complessi, sia nell’espressione estrema che in quella più oscura, malinconica ed introversa, tanto che il violino -componente radicale della musica della band- riesce a dar vita a situazioni meravigliose, specialmente quanto affiancato a blast beats furiosi e pregni di dannazione. Caustica la opener “Dawn of Phantom Light”: violenta, fumosa, asfissiante. Toni leggendari ed epici con “Becoming” ed anche con “Skybound”. Violenza alternata ad una impostazione ritmica sussultante su “Rite of Emptiness “, pura atmosfera su “O Além”, prima dell’assalto frontale di “Journey”, un brano sferzato da un violino sognante, quasi vagabondo, gitano, un violino che domina completamente l’intensa “Awakening”, prima della conclusiva “Under the Sign of Sol”, un brano definibile come… power-black! I Windfaerer, ‘colui che viaggia nel vento’, sono gloria per un passato iconico ma disperato, esaltazione delle tradizioni sanguigne, legami inscindibili che non temono né distanza né tempo. Sono black metal in un concetto di pura espressione e significato profondo.

(Luca Zakk) Voto: 9/10