(code666) Un suono che cresce e diventa melodia, prende forma, si evolve e si mostra. Inizia così “Deliquesce” e per mano della sua stessa canzone; il resto è solo Maestus, una band decadente e fosca. Al secondo album in studio, i Maestus esprimono quattro lunghi pezzi dai toni blackened doom metal. Un modo di essere e di suonare che nasce nel 2013 e oggi trova una forma piuttosto definita. Il doom metal rievoca le tinte britanniche degli anni ’90, pur avendo un romanticismo ridotto e a sprazzi, al contempo però c’è una concessione verso la psichedelia. Un doom comunque nero, la band inforca momenti duri appunto blackened, potenziando così le atmosfere. L’ossatura dei pezzi è il non cedere al semplice e funereo istinto del genere. Melodie maestose, struggenti, spesso insolite grazie ai rintocchi precisi delle tastiere che alimentano un sotto testo poetico. Il cantato vede il growl come forma di espressione, oltre a contrappunti scream. “Black Oake” è tenebrosa, ritmata e con percorsi melodici che crescono nel corso del pezzo. Le melodie di “Deliquesce” hanno anche un taglio riflessivo, atmospheric e certamente l’essere di Portland, dunque nord-est del paese e in faccia all’Oceano Pacifico, manifesta quell’appartenenza ‘cascadian’ nella genetica della composizione. Maestosamente drammatica “The Impotence of Hope”, mentre “Knell of Solemnity” rappresenta oltre alla chiusura di “Deliquesce”, la fuga verso un mondo rarefatto, strano, lontano.

(Alberto Vitale) Voto: 8/10