(Metal Blade Rec.) Secondo album per la premiata ditta Jim Matheos e John Arch. I due Fates Warning, il primo mentre il secondo è l’ex voce della band, incisero nel 2011 “Sympathetic Resonance”. Dunque otto anni per ritrovarli insieme con del materiale inedito e di assoluta qualità. Ben suonato, ben cantato, con un hard & heavy di natura prog brillante. Melodie epiche, solenni, forse troppo seriose ma è questa la natura di Jim e John. Con loro anche Joey Vera (Armoered Saint e Fates Warning), Bobby Jarzombek (Fates Warning, S.Bach, Riot e tanti altri), Joe Dibiase (Fates Warning), Mark Zonder, Steve Di Giorgio (Death, Testament), Sean Malone (Cynic) e Thomas Lang (assoldato da tantissimi, perfino Gianna Nannini, Kyle Minogue o anche i Dream Theater, per citarne alcuni). La squadra è potente, sveglia e svelta, capace e neppure adorante di complicatissimi passaggi. C’è la voglia di creare delle sequenze ben precise per i due musicisti e loro colleghi, con variazioni e aggiunte dei diversi singoli che infondono al tutto un tono decisamente ‘importante’, in fatto di esecuzione. “Solitary Man” ad esempio che con le linee di basso dell’ex Fates Warning DiBiase, oltre al gran lavoro di raccordo e di natura percussionistica come stile da parte di Thomas Lang. Occorre però notare che “Winter Ethereal” sfiora i settanta minuti con nove canzoni. Pur non volendo ripetere quanto scritto spesso in occasioni del genere, i due colleghi di vecchia data avrebbero potuto sintetizzare alcuni pezzi. Perché per quanto la musica riesca alla lunga a trasportare l’ascoltatore, facendosi ammirare, poche volte gli ammicca. Poche volte si è scelto di puntare a un formato canzone canonico. Certamente Arch e Matheos non sono fatti per questo, non volevano questo, ma offrire anche un taglio diretto, avrebbe evitato qualche pezzo che francamente sembra tirare troppo la corda. Il rischio è che nell’ascolto ci si ritrovi a fare i conti con le capacità dei musicisti, il loro estro, ma l’inventiva e arte di comporre vorrebbe anche altro. Pathos, qualità e una voce alta, intensa, creano un album che non si può dimenticare. Un album che punta all’eccellenza, c’è scritto nelle pieghe, nei riff, nelle strutture ritmiche, nella voce sempre sovra tono di John Arch, alla supremazia della tecnica dell’uno di concerto con quella degli altri. Dunque un’eccellenza in parte autoreferenziale.

(Alberto Vitale) Voto: 8/10