coperdh(Altered End) Gli Erdh sono francesi e quando ho letto che si dichiarano una band (in realtà è un duo) nel cinematic metal, ho da subito pensato che avrei affrontato sonorità profonde, magari anche introspettive, sicuramente sperimentali ma di una certa scorrevolezza. In Francia sonorità simili, cioè avantgarde, post, di fusione tra generi e cose del genere spesso hanno un senso di eleganza e di fluidità. C’è di solito armonia in questo genere di cose. “Resilient” non è da meno. Un debut album che svela una perfetta simbiosi compositiva e artistica tra Nicolas Pingnelain, compositore e polistrumentista, e Emmanuel Lévy, cantante e paroliere. Su cosa sia il cinematic metal possiamo anche sorvolare (ognuno se ne farà una definizione propria), mentre su come sia imbastita la musica, totalmente concepita da Pingnelain, si può dire che è un perfetto dosaggio tra industrial, dark-gothic, electronic, avantgarde metal. Indubbiamente sono brani d’atmosfera i sette che compongono “Resilient”, i quali raggiungono quasi tutti una durata tra i 6’ e gli 8’, si salva solo “[O.D.]dity in Neverland” che arriva a meno di 5’. Quest’ultima canzone è strutturata su un soft drum ‘n bass e probabilmente è uno dei brani di maggior effetto, nonostante non abbia praticamente nulla di metal. “Science Affliction” e “Pink Circuit” aprono l’album con modalità simili. La struttura del riffing e i ritmi si somigliano, la prima delle due mi ha ricordato vagamente i Samael, mentre è l’elettronica e la vocalità di Lévy che propongono interpretazioni differenti nei due pezzi. La title track pronuncia un riff molto pesante, quasi doom, lo scenario è decadente e il pezzo presenta due momenti in cui la chitarra è sospesa e si apre una pausa di tipo elettronico. Nonostante la durezza di questo riff, la vera mazzata metal dell’album è “Codex Atrox”, una canzone che potrebbe essere, tanto per dare un’idea, vicina alle coordinate musicali degli ultimi Satyricon o addirittura degli ultimi Morbid Angel. Globalmente però non è giusto fare paragoni o citare altre band, perché l’addentrarsi in questi sette universi di circuiti che sfrigolano, chitarre che si surriscaldano e voci da sacerdoti del dark/new wave o alla Peter Steele, formano una dimensione unica e non del tutto paragonabile ad altro, se non solo attraverso il gioco sterile delle etichette. Pingnelain e Lévy si muovono lascivamente tra una foresta di totem metal e pesanti e dense nubi dark (“Sinking” fa pensare che i Sisters Of Mercy suonerebbero così nel 2013), il mezzo di trasporto ideale è l’elettronica. “Resilient” è stato registrato tra il 2010 e il 2012, le parti vocali sono state incise lo scorso anno, mentre il missaggio e masterizzazione sono di Jens Bogren al Fascination Street Studio. Un album sommariamente piacevole, pezzi scritti e arrangiati con grazia e un’attitudine moderna e che pesca da stili ormai noti e montandoli al meglio tra di loro, per ottenere dimensioni sonore evolute.

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(Alberto Vitale) Voto: 8/10