(autoproduzione) Sono di Monaco di Baviera, ma si definiscono ‘oriental extreme metal’. Esaltano e fanno rivivere la civiltà della Mesopotamia, con in titolo dell’album ispirato ad un personaggio della mitologia sumera. La band è in linea stilistica con i compaesani Gilgamesh, nei quali milita da qualche anno il comune chitarrista Christoph Lamprecht… senza dimenticare che proviene dai Gilgamesh (altro moniker ispirato alla Mesopotamia) anche il vocalist e songwriter Enki (Emanuel Daniele), ideatore degli Eridu e fonte di quella tendenza compositiva in linea con la band precedente. L’album è un concept su dei vendicatori e sul lunghissimo regno proprio di questo immenso e mitico Re Lugalbanda (di Uruk, padre di Gilgamesh e marito della dea Ninsun). Stilisticamente siamo nei meandri di un black/death dai forti connotati melodici i quali accompagnano attraverso campi di battaglia, cerimonie antiche e rituali magici dimenticati nel labirinto del tempo. Mid tempo esaltanti, atmosfere occulte, blast beats feroci: è questa la sintesi del debutto di questa band, anche tra collocabile tra il blackned ed il death melodico svedese, capace di un muro di riff impenetrabile il quale vuole e riesce ad instaurare un soundscape assolutamente epico, oltre che feroce, con dettagli che ricordano un incrocio assurdo tra Nile, Melechesch e Behemoth. Esaltante “The Cavern”, brano dai molteplici aspetti: epico, narrativo, estremo, groovy e tuonante. Suggestioni oscure con “Astral Warfare”, trionfale “The Bewitching of Sumer”, drammaticamente oscura la conclusiva title track. Nonostante quella derivazione proveniente dalla precedente band, Lamprecht ed i suoi nuovi compagni riescono a mettere in piedi un album dalle tendenze che spolverano una variante epica del blackned, apparendo originali, molto melodici, decisamente tecnici, oltre che teatralmente violenti. Un debutto convincente per un nuovo progetto che potrebbe crescere ulteriormente e farsi marcatamente notare!

(Luca Zakk) Voto: 7/10