(Avantgarde Music) Non solo è assurdo definire ‘doom’ i Plateau Sigma, che con il doom non hanno veramente nulla a che fare, ma è anche impossibile applicare un’etichetta che non rechi la dicitura ‘Plateau Sigma’. Ascoltando il nuovo album, s’è affacciato nella mia mente un pensiero riassumibile come ‘i Plateau Sigma’ sono cambiati. Ma devo essere sincero, era solo una emozione deviata in quanto si trattava di un pensiero contorto, conflittuale ed assolutamente sbagliato. Come si può stabilire il cambiamento di forma di qualcosa che non ha una forma predefinita? Come è possibile percepire differenze quando non c’è un riferimento di partenza? I Plateau Sigma, in quasi dieci anni di attività, sono sempre stati liberi da etichette, forme e schemi. Sono sempre stati imprevedibili e si sono sempre sentiti creativamente liberi di trasformare in suono qualsiasi emozione, sentimento o punto di vista, con l’unica costante rappresentata dall’arte di illuminare con luce tetra qualsiasi argomento trattato ed espresso musicalmente. Il nuovo “Symbols…” riflette su concetti assurdamente banali ma mostruosamente complessi: i simboli e la simbologia. La band stessa afferma, giustamente, che nel nome di un simbolo succedono tante cose, sotto un simbolo le divinità vengono adorate, le rivoluzioni scatenate, i potenti consacrati o destituiti. I simboli ci accomunano e ci diversificano. Ci avvicinano e ci allontanano. Un semplice simbolo esposto o indossato nasconde, invero, significati profondi radicati in una storia probabilmente antica, influenze sociali spaventose che suddividono sempre l’umanità tra quelli fedeli e quelli contro quel simbolo, con le inevitabili e spesso tragiche conseguenze che ne conseguono. A tutto questo i Plateau Sigma associano una poetica sublime ed un’evoluzione sonora senza paragoni la quale attinge senza limite da qualsivoglia forma sonora nota -o meno- all’umanità. “Symbols…” è arte, è metal, è black, è death metal. Ma è anche prog, è post, è dark. C’è malinconia, c’è depressione, ma c’è anche la ricerca della luce, della speranza, del bello della vita, dell’esistenza e della morte, quest’ultima vista come naturale ciclo della vita stessa. La dualità delle voci, trascina l’ascoltatore dal funeral doom più putrefatto ad un dark/post di sublime fattura ed incantevole magia. Il death lento e lacerante abbraccia teorie note ai Sólstafir su brani come “Heterochromia”. Risulta apocalittica, seppur deliziosamente melodica, “Ouija and the Qvantvm”. Sulla favolosa ”A Parody of Medea” si incrociano suoni che potrebbero appartenere ad un black francese quale quello dei Regarde Les Hommes Tomber e direzioni vicine a certe epoche dei Katatonia, con una generale influenza di Cult of Luna o Isis. Post rock infinitamente drammatico con “The Moon Made Flesh”. Dark wave ulteriormente avvolto dalle tenebre del post metal sulla favolosa “The White Virgin”. Ancora ritmi lenti e funerei su “She Kept the Sacred Fire Still”, prima della tenebrosamente idillica esperienza offerta dall’intimità introspettiva espressa con la conclusiva “The Child and the Presence”. Il miglior album dei Plateau Sigma? Forse. Ma è difficile giudicare. Dopotutto questa è una nuova pagina di un libro, un nuovo paragrafo, un nuovo capitolo di un immensa saga, di un irresistibile romanzo del quale conosciamo solo l’inizio -o un inizio- e qualche capitolo che poco ci lascia intravedere di una storia che sarà sempre più contorta, una storia che si sta sviluppando, svolgendo e rivelando ai nostri occhi, pagina dopo pagina, paragrafo dopo paragrafo, capitolo dopo capitolo: un libro che si scrive man mano che lo leggiamo, improvvisando, cambiando direzione in funzione della nostra risposta emotiva. I Plateau Sigma questo lo sanno fare benissimo: oltre ad essere dei grandiosi musicisti e dei compositori geniali, sanno catturare le più recondite emozioni dei loro ascoltatori, contorcendole, trasformandole ed esaltandole senza alcun limite.

(Luca Zakk) Voto: 10/10