copulvedharr(Moonlight Records) Nella mia personale ‘mappa’ dei generi metal, che ovviamente comprende soltanto le partizioni classiche (non sarei mai in grado di distinguere il metalcore dal crust o dal djent), non esistono due settori più lontani del viking e del thrash. Trovo molto spesso assai interessanti gli accostamenti del primo al black, al power, all’epic, al doom, perfino al death (o anche a più di queste categorie, come nel battle metal); ma la maestà dei canti norreni non riesco proprio a sposarla alla furia sregolata e generalmente alcolica del thrash di scuola tedesca, o alla rabbia corrosiva della bay area. Quando ho letto quindi che i bergamaschi Ulvedharr, qui al debut, suonano viking/thrash metal, ho pensato a una unione manifestamente impossibile; tuttavia, da buon recensore, ho dato ogni possibilità a questo “Swords of Midgard”, che però, a conti fatti, non mi ha convinto, anche perché questo connubio è palesemente sbilanciato. Vediamo perché. “Lindisfarne”, di viking, ha poco più del titolo e del testo; per quel che mi riguarda è un classico brano thrash con influenze tedesche piuttosto che americane. “War is the Eyes of Berskerker” ha effettivamente qualche giro più quadrato e dal carattere vagamente epico, ma sono pochi elementi innestati su una struttura thrash profondamente ortodossa (ascoltate le dinamiche ritmiche e capirete). “Onward to Valhalla” finisce così per assomigliare di più a un (pur gradevole) inno alcolico che a una marcia norrena; gli unici due brani veramente viking, con accenti alla King of Asgard, sono “Beowulf & Grendel (Part I)” e la successiva “Ymri Song”. Dal canto suo, la conclusiva “Harald Hàrfagri” arriva a toccare invece il black! Non nego che questo meltin’ pot possa avere i propri estimatori, ma io personalmente sono rimasto un po’ deluso; con un titolo del genere penso inevitabilmente ai Månegarm, agli Amon Amarth, ai Turisas, e le mie orecchie si regolano di conseguenza.

(Renato de Filippis) Voto: 5,5/10