copogre(Minotauro Records) Non so bene cosa faccia questa band del Maine. La cartella stampa parla di heavy metal, doom, rock… ed è forse l’unico modo per descrivere questi tre artisti. Fanno un po’ di tutto, ma in un contesto personale ed unico. Alla descrizione ci aggiungo un pizzico di stoner e sludge, a volte si sente, tanto per completare la ricetta. Ma attenzione: non è un miscuglio, in quanto questo album variegato risulta assolutamente coinvolgente fin dal primissimo ascolto, divertente, carico di energia. Ed infatti è sempre la cartella stampa che cita, giustamente, le molteplici influenze: metal antico (Black Sabbath per esempio), e di questo è pieno il disco. Poi il sempre verde prog anni 70, con forti influenze del rock dell’epoca, aggiungo io. E non manca il doom, quello vecchio stampo. C’è proprio di tutto, genialmente mescolato, perfettamente suonato, con una carica emozionale fisica, percepibile, palpabile. Il tutto con un cantante validissimo, con la sua voce squillante, fantasticamente vintage, capace di incazzarsi quando serve facendomi venire in mente Bobby degli Overkill (tanto per aggiungere un altro ingrediente!). La opener (dopo l’intro) “Nine Princes in Amber” fa tornare indietro di diversi decenni, con la sua energia, la sua elaborazione sonora e la sua purezza stilistica. Fantastico passare dall’euforia della opener all’oscurità Sabbathiana di “Bad Trip”. Ci sono istanti in questa canzone dove Ed, il cantante, sembra diventare Ozzy Osbourne (per il tono, per la perversione) … mentre duetta proprio con il mitico leader degli Overkill; il tutto costruito su un pezzo che raggiunge la profondità del doom ma anche la velocità e la melodia del vecchio heavy metal, quello classico, quello eterno. Ancora doom ed allucinato occultismo con “Son of Sisyphus” per poi cambiare marcia con “Soulless Woman”. Ed è qui che si manifesta la caratteristica della band: il pezzo, di fatto, non ha nulla a che vedere con il materiale precedente, però -non chiedetemi il perché- …ci cade a pennello: una canzone divertente, allegra, ritmata, musicalmente eccitante, roba che riesce a farmi pensare anche agli Offspring (!). Metal e doom, vintage e rock tornano a fondersi su “Warpath”, seguita da un corto strumentale che è ambient con sonorità southern mescolate a feeling orientale (ve l’ho detto che sono unici, che sono geniali!) il quale precede la mastodontica traccia conclusiva, “The Hermit”, con tutta la sua carica vintage, doom ed anche horror. Una band strana, stranissima. Sono al quarto full length. Titolo? Stupendo. Copertina? Fuori di testa (come tutte le altre della loro carriera che ormai arriva al terzo cinquènnio). Ironia? Immensa (guardatevi il loro profilo facebook, godetevi l’immagine di copertina!). Sanno suonare. Sanno comporre. Diffondono un feeling di artisti veri che suonano musica vera. C’è una componente di purezza nel loro sound, nel loro atteggiamento. Il risultato si può percepire durante l’ascolto: questo è uno di quei (pochi) album capaci di trasmettere lo stato d’animo dell’artista (stato d’animo apparentemente influenzato da sostanze deliziosamente tossiche). Sembra quasi un amico che ti racconta i fatti suoi, piuttosto che una band che suona delle musica per un pubblico di sconosciuti. E questo per me è geniale e si spinge oltre la qualità, la struttura o il genere della musica effettivamente suonata.

(Luca Zakk) Voto: 8/10