(autoprodotto) È tutto chiaro. C’è un chitarrista che è anche un compositore il quale di solito milita nei validissimi Maieutica. Ma è uno bravo, con idee, siamo nei paraggi dei virtuosi o nel corso di laurea per diventare tali… ed è ovvio che un axe man che ci sa fare non può restare confinato entro i parametri stilistici di una band, per quanto lui componga per la band e per quanto la band sia traversale ed eclettica: è sempre una band, ed una band ha un pubblico, ha delle regole, ha un percorso stilistico creato proprio dalla band … il quale prende il controllo e domina la band stessa. È tutto normalissimo. Quindi il chitarrista bravo deve trovare degli sfoghi: o milita in 10 bands diverse e contrapposte stilisticamente, rinunciando quindi a mangiare e dormire, oppure prende la chitarra, la collega e si lascia andare. Inizia a suonare. A comporre per il gusto di comporre, senza dover per forza sottostare a regole o rimanere entro certi confini… se non quelli del puro gusto personale, riassumibile -in maniera sempliciotta- con un un “anni 80 e 90” (più 80 che 90…). Quindi questo chitarrista chiama un collega, un axe man solista a sua volta -non uno a caso- il signor Alex De Rosso, lo piazza nella stanza dei bottoni, poi chiama il suo bassista, ed un tastierista e, ovviamente, anche un batterista … mescola tutto, crea un intruglio e dona la vita al mostro. Un mostro che esce da un laboratorio di un scienziato pazzo, completamente instabile, chimicamente giocherellone, mostruosamente deviato. La chitarra prende vita, diventa ‘il’ mostro e se ne va per il villaggio disseminando riff, assoli, armoniche, bendings e quant’altro nel repertorio del chitarrista virtuoso fedele allo shred. Bene, tutto quello che vi ho detto finora è deducibile dalla fantastica ed originale copertina… però, poi, arrivano le conferme musicali: “Kaboom” è melodica e sostenuta, ci sento la scuola Friedman, tanto per tornare al concetto di università del virtuoso. “Great Scott” è intensa e ricca di divagazioni. “In the Lab” è sensuale, invitante, provocante… ricca di dettagli con una esibizione tecnica superlativa grazie a scale e fraseggi geniali. Poi la title track evidenzia tutto, rivela tutto: ritmica selvaggia, travolgente, incessante… gli assoli diventano una barriera impenetrabile e la tecnica diventa esaltazione prepotente di stile e creatività, mantenendo quella dichiarazione di intenti che si colloca proprio tra gli anni 80 e inizi 90. “Abnormal” è introspettiva, “To the Time Machine” irrequieta ed entrambe fanno da antitesi a “Murder, They Wrote”: suggestiva, misteriosa, criptica… un incrocio tra Malmsteen, Vai e i moderni Sixx A.M. Groove a vagonate su “Multidimensional Scaling”, feeling super vintage su “Super Paradox Combo”, mentre la conclusiva “Who Knows” saluta, con note che parlano di addio suggerendo subdolamente (o minacciando crudelmente?) un arrivederci. Parliamoci chiaro: sono fedele ai virtuosi che non sono certamente nati, artisticamente, negli anni moderni. Io venero Malmsteen, adoro Friedman, mi esalto con Axel, credo in Vai e Becker. E conosco, personalmente, Brigo. Ed ora che ci penso, dopo averlo incontrato -probabilmente in occasione di un concerto dei Maieutica- mi è sempre rimasto quel senso di stranezza, quell’impressione di parlare con un essere di un’altra epoca, non un contemporaneo, piuttosto una figura quasi olografica proveniente dal passato, almeno un ventennio prima dei tempi contemporanei. Forse è un immortale? Forse l’hanno ibernato e scongelato proprio dal 2009 in poi? Non lo so. Ma quella dichiarazione di intenti legata ad un’epoca c’è al 100% e, almeno artisticamente, Brigo appartiene ad un’epoca gloriosa, fortunatamente non ancora finita.

(Luca Zakk) Voto: 8,5/10