coparkona3(Napalm/Audioglobe) Gli Arkona sono una istituzione del pagan metal, una delle ultime sopravvissute: ci hanno messo parecchio a farsi notare in Europa occidentale, ma si meritano sicuramente il contratto con la Napalm, la pubblicazione di live, mini e compilation, il tour negli Stati Uniti e quant’altro. Da ultimo, anche io ho esposto le mie lodi QUI o meno recentemente QUI. Però… però “Yav” non mi convince. Ho come la netta impressione che i russi abbiano voluto strafare, voler andare oltre i trademark che li hanno resi famosi… cosa legittima, per carità, che però ha generato un disco di transizione piuttosto strano. “Zarozhdenie” (“Genesi”) è un epos di quasi nove minuti, dal taglio sostanzialmente progressive, con inserti di keys e synth e una struttura basata su tempi dispari. Anche “Na Strazhe Novyh let” (“Sul confine di nuove ere”), per quanto offra elementi più classicamente black mescolati a tribalismi e momenti pagan, si concede una durata di oltre sette minuti: insomma, non aspettatevi un disco che parte in quarta! Presumo che a questo punto i fan storici saranno già rimasti allibiti, ma se reggono, “Zov Pustyh Dereven” (“La chiamata del villaggio abbandonato”) ha quel distante fascino pagano tanto caratteristico delle prime produzioni della band, e che, per un ascoltatore non russo, è aumentato dall’assoluta alterità linguistica del testo. Folklorica nel senso più stretto del termine “Chado Indigo” (“Bambino indigo”), altro pezzo sopra i sette minuti, dove hanno un effetto assai inquietante le strofe cantate dai bambini. La titletrack supera addirittura i tredici minuti: stentorea e incalzante, ha comunque qualche (inevitabile?) momento di stanca. E quando la scaletta si chiude con la sciamanica e misteriosa “V ob’jat’jah kramoly” (“Travolto dalla sedizione”), resta onestamente un po’ di amaro in bocca. Se hanno preso una nuova strada, forse gli Arkona devono leggermente correggere il tiro.

 

(Renato de Filippis) Voto: 6,5/10