(The Swamp Records (CD)/ Overdrive Records (LP) / Burning Coffin Recs (MC)) Gli italiani Bretus professano l’occulto da oltre un ventennio e questo “Magharia” è il quinto album della loro valida carriera, a due anni dall’ottimo “Aion Tetra” (recensione qui). Doom, doom di qualità, pesante e maligno quanto basta, ricco di influenze metal e stoner le quali rendono più graffianti le ottime teorie melodiche, sempre capaci di creare angoscia, inquietudine, destabilizzazione mentale. Il nuovo lavoro parla di fantasmi nazionali, vagando tra leggende e miti, credenze popolari e superstizioni, un vagabondaggio tanto etereo quanto pregno di sangue. Ossessiva e devota ai Black Sabbath “Celebration Of Gloom”, una canzone che esalta il terrore con dissonanze apparentemente provenienti da un flauto maledetto. Incalzante e drammatica “Cursed Island”, si scende negli abissi con “Moonchild’s Scream”, brano che poi si addentra nel mondo dei morti con un riff pungente e decisamente azzeccato. L’intermezzo “Necropass” porta alla potenza micidiale di “Nuraghe”, canzone che cura qualsivoglia nostalgia per bands quali i Reverend Bizarre. Penetrante e molto heavy “Headless Ghost”, teatrale l’oscurità dell’ottima “The Bridge Of Damnation”, rocambolesca “Sinful Nun”, prima della lunga e conclusiva title track, uno strumentale che rivela le capacità compositive e musicali della band, ben oltre il regime ristretto del puro doom, più verso il metal di scuola Iron Maiden incrociato con musica horror della migliore scuola nazionale. Non a caso tastiere si intrecciano con riff metal esaltanti, con synth settantiani, con esplorazioni atmosferiche sulfuree e ricche di dramma, rendendo il brano un intenso, geniale e glorioso finale di un disco che immediatamente trascina dentro quella dimensione lugubre, nella quale ogni respiro è un lamento, l’assenza di luce cela unghie graffiano il metallo emettendo un stridio agghiacciante, mentre campane minacciose fanno da colonna ad un campo santo dimenticato, dal quale proviene il rumore del badile che fende la terra, lo scavo di un’ennesima fossa. Con intelligenti aggiunte e provocanti idee, “Magharia” rimane comunque un album che riesce ad evocare le sonorità migliori del doom, ricordando a tutti come debba suonare questo genere. Il doom è una fede, è un culto: la ricerca di modernismi o di nuove direzioni poterebbe ad un altro stile e non sarebbe più quel doom ossessivo, tetro, pregno di malvagità, quella musica che ipnotizza, terrorizza, suggestiona e coinvolge con sublime decadenza.

(Luca Zakk) Voto: 8,5/10