(Lupus Lounge) Il settimo sigillo. Il settimo peccato capitale. Il settimo figlio. Black metal che non conosce più confini, che si abbandona ad evoluzioni tecniche, ad aperture che abbracciando thrash, death e pure heavy classico, manifestando un poderoso senso epico, trionfale. “Narkissos”, ovvero Narciso, il fiero cacciatore della mitologia greca che si innamorò della sua stessa immagine riflessa: certo i Fortíð rimangono saldamente legati all’antico nord e relativi culti, ed infatti sono un’ambientazione ed un contesto nordici quelli che ruotano attorno alla storia che narra le vicende di un personaggio affetto dal noto disturbo della personalità che porta il nome del mito greco; ne viene descritta gioventù violenta, con il suo essere privo di pietà, con la sua abilità nello sfruttamento del prossimo. La storia prosegue poi verso la palese manifestazione della sua natura, il suo diventare paranoico, instabile, iracondo in una spirale discendente e senza fine di autocommiserazione, fino alla terza età la quale presenta un conto salato chiamato solitudine, per una persona che ormai è stata allontanata da tutti, da moltissimo tempo. È proprio dentro una storia del genere, così psicologica e così ‘moderna’ che diventa suggestivo l’assalto sonoro della band di Eldur (ovvero Einar Thorberg Guðmundsson, anche Curse, Katla. Oltre che ex Den Saakaldte e Thule), la quale attinge da tutte le sonorità del metal islandese, del black metal e di tutti i generi pesanti qui privi di confini, per forgiare la geniale l’arte dei Fortíð, così maestosa, ricca di gloria ma anche oscura, decadente, minacciosa e lacerante. La title track in apertura miscela un black sulfureo ed inospitale -esaltato dalla voce di Niilo Sevänen (Insomnium)- con una chitarra che si lascia andare ad una serie di assoli dal sapore virtuoso. Incalzante e ricca di cambi tematici “Drottnari”, violenza e epicità sull’incisiva “Vefurinn sem ég spinn”, dove le clean vocals offrono una resa dinamica ricca di emozione. Metal e folklore con la favolosa “Uppskera”, misteriosa “Þúsund þjáninga smiður”, anch’essa con infinite variazioni e una chitarra solista superlativa. Marziale “Rotinn arfur”, trionfante la progressiva “Illt skal með illu gjalda”, traccia che ospita anche l’ex membro della band Øystein Hansen con la sua chitarra acustica. È feroce e legata ad un black ancestrale “Tímans ör”, mentre emerge del black sinfonico nella conclusiva “Við dauðans dyr”. Probabilmente il capolavoro assoluto dei Fortíð, la massima espressività creativa del loro mastermind. Un album che attingendo da molteplici sorgenti riesce comunque a suonare black metal in maniera poderosa, portando avanti la linea di demarcazione, alzando la fatidica asticella, forse dando vita ad una delle migliori pubblicazioni dell’anno in ambito estremo.

(Luca Zakk) Voto: 9,5/10