(Reigning Phoenix Music) Sono passati quattro anni dallo storico “Helloween”, disco che vedeva per la prima volta le zucche amburghesi in formazione a sei elementi, con il rientro dell’amatissimo singer Michael Kiske e dall’uomo da cui tutto è nato, il leggendario Kai Hansen. Una band che può vantare cinque compositori di prim’ordine, tutti con il loro stile ben distinto, eppure funzionale al sound consolidato in quarant’anni di storia. A dire il vero, per quanto riguarda “Giants & Monsters” i compositori sono quattro, visto che in questo disco manca il contributo in fase di songwriting da parte di Markus Grosskopf, il quale fa comunque sentire la sua presenza con il suo inconfondibile modo di suonare. L’album apre con “Giants on the Run”, scritta a quattro mani da Deris ed Hansen, i quali si occupano di tutte le parti vocali del brano, con le loro voci ruvide, sicuramente inferiori tecnicamente a Kiske, ma altrettanto inconfondibili e carismatiche. “Savior Of The World” ci porta allo stile dei due “Keepers”, per un brano scritto da Weikath e cantato divinamente da Kiske. “A Little Is a Little Too Much” è estremamente ruffiana, con Deris che pesca dal suo background hard rock linee vocali catchy e di facile presa. Tocca a sua maestà Kai Hansen a salire in cattedra con la veloce, melodica ed epica “We Can Be Gods”, brano dove le tre voci si alternano e si intrecciano per quello che sicuramente è uno degli highlights dell’intero platter. I ritmi si fanno più lenti e le atmosfere molto più dolci con “Into The Sun”, emozionante ballad cucita su misura per le voci di Deris e Kiske, a differenza di quando dal vivo propongono “Forever And One (Neverland)”, brano nato per la voce di Deris e che trovo forzato ogni volta che lo sento eseguito a due voci. Prima avevo accennato al passato hard rock di Andi Deris, quando con successo era il frontman dei Pink Cream 69, band molto amata in Giappone; “This Is Tokio” è appunto una sorta di tributo al paese del Sol Levante, un pezzo molto orecchiabile, non per nulla è stato scelto come primo singolo dell’album, con tanto di video talmente pacchiano da diventare per assurdo un piccolo capolavoro. Ma il brano che da solo vale il prezzo dell’album è “Universe (Gravity For Hearts)”, un pezzo lungo, ma che scorre velocemente grazie ad una struttura variegata, un uso delle tre voci ottimale e strutture intricate e mai banali. Davvero complimenti al sorprendente Sasha Gerstner, spesso fin troppo sottovalutato anche dal sottoscritto. Lo stesso Gerstner è autore della successiva “Hand Of God”, dalla struttura sicuramente più snella e sbarazzina rispetto a quella del brano precedente, ma assai godibile. “Under The Moonlight” vede nuovamente protagonista l’accoppiata Weikath/Kiske, per una canzone dalla struttura stravagante, a metà strada tra una B-side dei “Keepers” e le cose migliori del secondo me bellissimo “Pink Bubbles Go Ape”. Tocca nuovamente ad Hansen l’onore e l’onere di chiudere l’album con “Majestic”, un nuovo inno, un nuovo brano epocale, diversissimo da “Skyfall” -anche se le tematiche riguardano sempre lo spazio e gli alieni- eppure di pari se non superiore bellezza. Dopo quarant’anni di carriera gli Helloween non hanno bisogno di dimostrare nulla; d’altronde hanno creato un sound, l’hanno plasmato, modellato, cambiato rimanendo comunque fedeli a sé stessi, riuscendo a riunire alla perfezione due ventenni di storia.
(Matteo Piotto) Voto: 9/10