(Black Widow Records) C’è del mistero dietro L’Impero delle Ombre. In teoria si sono sciolti qualche tempo dopo la release di “Racconti macabri Vol. III” (recensione qui), però eccoli ora tornare con quello che sembra essere dichiaratamente l’ultimo e definitivo capitolo -il quarto- della storia di questa band capitanata dall’iconico Giovanni ‘John Goldfinch’ Cardellino. Un disco profondo, infinitamente oscuro, pesante ma anche deliziosamente melodico, un altro esempio di sublime ‘cemetery rock’, genere nel quale la stessa band ama classificarsi. Titolo perfetto per un tetro testamento, per un disco senza luce, evocativo, rituale… un lento cammino verso la dannazione eterna. Chiese sconsacrate nelle quali il barlume del bene viene violentato dalla perversione del male, una marcia funebre sonata in nome di una società che rincorre la decadenza, immagini sbiadite di un concetto fallito di salvezza, di dimenticata redenzione. Otto meravigliosi brani che citano maestri quali Edgar Allan Poe e H. P. Lovecraft, doom pregiato all’ennesima potenza, violini che alzano il livello emozionale, sassofoni che drammatizzano ulteriormente un’atmosfera già palesemente lugubre, cori femminili che suggeriscono malizia e decadente depravazione. La opener “Il Mio Ultimo Viaggio” è tanto profetica quanto capace di concretizzare il mood dell’intero disco, esaltando un doom di matrice finnica semplicemente irresistibile. È un doom più peninsulare quello di “Zulphus Et Mercurius”, quasi una sintesi delle arti oscure del nostro paese, il tutto esaltato da un ritornello musicalmente impressionante. Ipnotica e aggressiva “Lacrime nella Pioggia”, profetica “Dagon”; ”Macara” elargisce metal e folklore deviato (con un assolo di Tommy Talamanca), si rivela attraente, seducente e narrativa “La Taverna del Diavolo”, sanguinaria “Il Gatto Nero”, infintamete malinconica e decadente la conclusiva “Circolo Spiritus Navona 2000”. Otto capitoli di una bibbia nera, di un lascito lugubre. Arti arcane, arti macabre, folklore tetro, misteri indicibili e segreti impronunciabili che stanno in equilibrio tra un instabile sacro ed un concreto profano. Carni in decomposizione ed ectoplasmi ormai senza più una luce che possa renderli visibili nelle avvolgenti e sulfuree tenebre. “Oscurità” non è solo un album, non è solo musica; “Oscurità” è molto di più, è la negazione di quello che è, “Oscurità” è la negazione della luce, della vita, dello spirito… “Oscurità” è l’esaltazione della morte, della sua stessa ombra tanto attraente e seducente, un’ombra devota, suddito di questo grande impero che sorge laddove la luce non riesce a trionfare.
(Luca Zakk) Voto: 9/10