(Diamonds Prod) Eravamo rimasti al quarto album, quel “Labyrinth of Pain” (recensione qui) il quale vedeva in azione il nuovo vocalist K-Cool, in sostituzione del precedente Matt Bernardi. Quel disco, per quanto grandioso, mi lasciò un po’ sconvolto proprio per il nuovo vocalist, un artista di spessore ma con un timbro troppo diverso da quello di Matt e al quale mi ero abituato tanto da associarlo al sound dei Ruxt. Ed ora, dopo altri due giri attorno al sole, ecco tornare nuovamente questa heavy band italiana… con ancora altre novità in formazione: il nuovo batterista, Maurizio De Palo (Arcane Visions)… ed ancora una volta nuovo front man… ma questa volta la nuova ugola dei Ruxt è una potenza in grado di farmi dimenticare il trauma subito con quel “Labyrinth of Pain”: Dave Dell’Orto… il vocalist degli Athlantis, dei Drakkar e pure dei Verde Lauro! Una diversificazione rispetto a Matt, uno stile completamente diverso da K-Cool… una voce con un range d’azione vasto, tanto graffiante e pesante quanto acuto e penetrante. La title track mette subito in evidenza che il motore dei Ruxt gira alla grande: mid tempo provocante, melodie taglienti, linee vocali rabbiose! Selvaggia “The Mask I Live In”, favolosa “Do You Like What You See”, un pezzo oscuro con un ritornello ipnotico, un po’ sognante, pregno di una profonda malvagità interiore. Malinconica “I’ve Been Losing You”, “Free” evolve il sound della band, il quale esce dalla comfort zone del metallo ‘classico’, andando a gironzolare in paraggi che stanno tra speed metal e impostazioni moderne, ritornando poi ad una pesantezza crudele e riff taglienti con “Boys Don’t Cry”. Heavy metal nella sua essenza con questa “Heartless”, mentre quel motore che respira frenetico seguito da un attacco di scuola Judas Priest, rendono “Pegasus” un contenitore di metallo pesante e shred fulminante con le chitarre opportunamente torturate! Qui non ci sono ballad, quindi “Little Girl” -nonostante il titolo- è metallo, solo più introspettivo, più ispirato, più sofferto e musicalmente più cadenzato… come con “What Will It Be”, un brano con una melodia drammatica ed un crescendo verso un lungo epilogo dove le chitarre soliste dipingono uno scenario che mi fa tornare in mente i Testament di fine anni ’80 inizi e inizi anni ’90. In chiusura “Vikings”, canzone con una bellissima introduzione che trasuda nostalgia e gloria, prima di addentrarsi in sentieri che melodicamente e ritmicamente non si fanno mancare davvero nulla. Con ospiti quali Federico Di Pane (Arca Hadian) e il mitico Pier Gonella (Necrodeath, Athlantis, Mastercastle, ecc), “Hell’s Gate” si fa ascoltare, riascoltare, alla ricerca del ritornello da cantare con il vocalist, dell’assolo che trivella la scatola cranica, della melodia che si stampa in testa, conquistando, catturando, rendendosi indelebile. In occasione del precedente album conclusi, parlando del cambio del frontman, scrivendo ‘…credo che a me serva ancora del tempo per abituarmici’. Ok: Problema risolto. Quasi come se non fosse mai esistito! Mi sono nuovamente abituato e, in questo caso, possiamo pure parlare di dipendenza.

(Luca Zakk) Voto: 8,5/10