(Pure Steel Records) Ritornano sul mercato, a quattro anni dal disco della reunion “Skull 13” (QUI recensito), gli Sleepy Hollow: il cambiamento di lineup (Chapel Stormcrow per Bob Mitchell dietro al microfono) ha decisamente mutato e rallentato i loro piani, che prevedevano un full-“length” con altro nome all’inizio del 2014. Ruvida e incazzata, dal primo secondo, “Black Horse named Death”; l’avvicendamento di cantante ha mutato in parte il sound, che si è fatto ancora più oscuro e maledetto. Ossessiva, ma pure dotata di un certo tasso di melodia, “Son of Osiris”; cantabile anche “Goddess of Fire”, molto sulla scia delle ultime cose degli Aska. È invece dotata di un riff tosto e quadrato “Baphomet”; poi arriva l’orribile “Creation Abomination”, che sposta il sound avanti di venti anni, e deve rappresentare un malriuscito tentativo di accattivare i giovani appassionati di metalcore e roba simile… il disco si riprende subito, per fortuna, con la veloce “Shapeshifter”, ma poi c’è un nuovo calo, perché gli ultimi 3-4 pezzi sono incredibilmente simili fra di loro per ritmo (sempre medio-lento) e sonorità. Un album figlio, evidentemente, delle difficoltà incontrate in fase di realizzazione, ma comunque superiore a quello che l’ha preceduto.

(René Urkus) Voto: 7/10