(autoproduzione) Dopo Fragments del 2016 (recensito QUI) Paolo Navaretta si lancia nel secondo full length, spalleggiato alla batteria da Scott Haskitt (Birds Over Kansas) e Chris Guyatt al basso, proprio come nel precedente album. Il musicista napoletano rilancia le sue atmosfere grigie e sospese tra modern-alternative e post metal. Ancora una volta The Black Crown rappresenta un totem nel quale ogni faccia non certo allegra, comunica melodie che si espandono e restano vivide nell’ascolto. I ritmi sono continui e agili, sottolineando a loro volta gli umori di ogni pezzo. Voce e chitarra, nonché tastiere, di Navaretta creano le linee guida delle melodie, mentre le strutture dei pezzi si esprimono ogni volta attraverso una serie di variazioni. Album dunque dinamico, come lo testimoniano brani del calibro di Tunraround” oppure la sinuosa “Cage”. I suoni somministrano potenza, hanno spessore e srotolano melodie misurate. Se l’entropia dell’album aumenta canzone dopo canzone, l’ascoltatore espande i propri pensieri attraverso “Entropy”, passando da stati emotivi diversi ma senza mai smettere di guardarsi dentro.

(Alberto Vitale) Voto: 8/10