(Hammerheart Records) Nella eterna caccia verso il disco di platino, soglia che continua a venire abbassata (quindi prima o poi ci arriveranno, forse), gli olandesi The Monolith Deathcult (ma non possono chiamarsi ‘Monolith Deathcult’ senza l’articolo?) arrivano al sesto capitolo della loro complessa carriera. Che poi non è proprio il sesto visto che in mezzo c’è un disco rifatto che non dovrebbero contare (il poco famoso “The White Crematorium 2.0”) ed un EP (“Bloodcvlt”) venduto come nuovo ma, notoriamente, messo insieme con materiale (radioattivo) riciclato. “Versus 1” vomita oltre tre quarti d’ora di brutalità avant-garde in versione leggermente rallentata, più riflessiva e ricercata… ammesso e non concesso che questi qui sappiano riflettere o ricercare. Il disco è un concept, il che significa che parlano sostanzialmente sempre delle stesse cose… cioè gli stessi soliti argomenti degli altri dischi… e anche stavolta tutto ha a che fare con guerre, sangue, nazismo … con quelle parti particolarmente emozionali grazie all’uso del tedesco (o forse è un dialetto olandese, ma per noi quaggiù suona incasinato uguale). Ottimi gli assoli: l’ex tastierista, Carsten Altena, ha finalmente trovato uno strumento a lui consono… e la dipartita di mezza band -tempo addietro- è stata un’occasione perfetta per tagliare i costi e dare una ragione di vita ad Altena. Tuttavia proprio Altena risulta essere anche un maniaco di rumori, samples, effetti, transformers, gingilli vari … e, bisogna ammettere che l’incredibile quantità di schifezze elettroniche inserite nel disco riesce anche ad essere di buon gusto, a tratti pure esaltante. “The Furious Gods” farà incazzare i vicini. “Die Glocke” è pesante. Anche troppo. “Seven Months of Mysticum” è un crossover tra un tributo (rallentato) ai Mysticum (appunto), e una quasi-hit pop-death-dance, con quella ritmica che mette allegria e voglia di sculettare. In mezzo a questo casino apprezzo particolarmente la digital-funerea “Uchronian March of the Deathcults” (una marcia, si, una marcia funebre, io ascolto molto black e ‘ste cose morenti mi gasano). “This Inhuman Place Makes Human Monsters” inizia come una canzone di una band glam metal, roba da arena, per poi deludere ancora una volta con ritmiche electro-death ed un growl disumano; Interessante il titolo della conclusiva “From the Stalinic Perspective”: me la aspetto annunciata in un concerto organizzato sulla Piazza Rossa a Mosca… ultimo atto prima di una -spero prossima- deportazione in Siberia di questi quattro malati mentali (anzi tre, il batterista è un session a tempo indeterminato). Insomma la solita roba. Io me lo compro in vinile, tanto m’avanzano due soldi su paypal… e mi rompe lasciarli li… ma non mi serve altro … e non devo veramente comprare niente di utile.

(Luca Zakk) Voto: