I Lunocode con l’album “Celestial Harmonies” tirano fuori un ottimo lavoro progressive, ricco di sfumature e senza eccedere in stucchevoli virtuosismi. Perseo Mazzoni (batteria) e Daphne Romano (cantante) raccontano come è stato realizzato l’album e le tematiche che include.

La Spider Rock ha fatto un gran lavoro promozionale per l’album. Quanto lavoro ci avete messo voi?
Daphne Romano: Non è facile descrivere tutti i passaggi e le competenze necessari in poche righe, ma considera che ognuno di noi ha fatto la sua parte e Perseo ha fatto anche di più: ha studiato e portato avanti le registrazioni ed il mixaggio, con dedizione e precisione, facendo uno sfiancante lavoro di cura del dettaglio. Ognuno di noi ha il suo ruolo nella composizione e io, che sono l’ultima arrivata nel gruppo, mi sono ritagliata il mio spazio, interagendo con i ragazzi costruttivamente. Anche questo ha comportato l’impiego di energie nella comprensione dei metodi e delle idee di ognuno. La composizione e la registrazione hanno costituito un grosso impegno che ci ha letteralmente rapiti anche ai nostri affetti! Ma ora siamo tutti davvero soddisfatti del risultato e proiettati verso l’attività live di promozione del disco.

Citate come influenze alcune band, in particolare ho notato Dream Theater e Ayreon. Non ho voluto citarle in sede di recensione (lo sto facendo adesso), però ho volutamente sottolineato dei rimandi con il rock degli anni ’70. Il genere progressive, le ampie composizioni che una volta riempivano album bellissimi. C’è qualcosa in voi che, consciamente o no, ha guardato a quel periodo?
Daphne: Ognuno di noi ha una formazione musicale che può differire da quella degli altri del gruppo per alcune sfumature, ma posso dire con certezza che condividiamo fortemente delle radici comuni: queste comprendono i nomi che tu hai citato e molti altri. Tutti noi, come penso sia necessario oltre che appagante, ci siamo avvicinati a molti dei maggiori – e minori – artisti degli anni ’70 con “devozione” ed ammirazione. In fondo non si può far altro che imparare da certi gruppi, per gusto, complessità, tecnica e creatività … se non si parla addirittura di genialità! E’forse un concetto semplice, ma non ovvio. Gli stessi artisti che tu hai citato tra le nostre influenze, hanno contaminato alcuni dei loro pezzi più belli con sonorità o strutture armoniche che possono far riaffiorare alla memoria certe atmosfere o composizioni degli anni ’70. Un esempio? “The Human Equation” di Ayreon ha dei suoni di tastiera che fanno da richiamo dichiarato e sono splendidi così! Sono echi filtrati dalla fervida mente di Lucassen: grati tributi a coloro che hanno segnato la sua formazione musicale.

Ho guardato le foto scattate in studio/sala prove (non so bene cosa fosse), mi hanno incuriosito perché i soggetti principali erano gli strumenti. Di voi si vede poco in quel contesto, ma si percepisce la presenza dei Lunocode. Forse è un paragone forzato, ma capita che album molto strutturati come i vostri (ma non è il vostro caso) risultino freddi, impersonali. Avete sempre avuto il polso della composizione di “Celestial Harmonies”? Non vi siete mai smarriti?
Perseo Mazzoni: Credo di aver capito a quali foto ti riferisci. In effetti sono foto che abbiamo scattato durante le registrazioni, quindi si vede molta attrezzatura ma poche persone. Per quanto riguarda la composizione di Celestial Harmonies in realtà non abbiamo mai pensato “vogliamo fare un album complicato” o cose del genere, abbiamo semplicemente fatto quello che ci veniva. Anche durante la scrittura dei testi ho semplicemente sviluppato delle idee che mi frullavano in testa da un pò di tempo. Diciamo poi che seguire la produzione del CD, dai primi istanti agli ultimi dettagli, è una mia passione e per questo posso dirti che ho le idee sempre molto chiare, su cosa penso sia giusto e su cosa sia sbagliato, in certi dettagli ed in tutto il resto. Di solito si parte con un quadro generale piuttosto nitido fin dall’inizio ed in base a questo si fanno le scelte per cercare di valorizzare al massimo il materiale a disposizione e dargli una veste più possibile originale e personale. Così facendo è difficile poi che capiti di perdere il controllo o smarrirsi, ed in effetti, almeno per ora, non è mai successo.

Il mastering è di Ronan Chris Murphy che ha lavorato per, diciamolo, diversi album dei King Crimson, Ulver, Steve Morse, Terry Bozzio, Tony Levin e altri. Quali canali avete utilizzato per arrivare a lui?
Perseo: Ronan ha curato il mastering anche del precedente EP e per me è stata una scelta naturale ricontattarlo anche per il full length. Lui è molto attivo e presente in internet, contattarlo e scambiarci due parole non è difficile. Con me si è dimostrato disponibilissimo e di una professionalità rara. Inoltre, appena iniziato a lavorare sui miei mix, è stato da subito entusiasta dei suoni che abbiamo ottenuto e della filosofia “controcorrente” che abbiamo adottato in questo album (no trigger, no quantizzazioni, no equalizzazioni estreme, no al mastering ipercompresso che va tanto di moda adesso) ed ha effettuato molti test e prove di mastering sulle canzoni, perchè secondo lui l’album era grandioso e voleva assicurarsi al 100% che tutti i dettagli fossero al posto giusto. Mi ha anche dato dei consigli tecnici ed ha fatto delle raccomandazioni per la fase post-mastering, tra l’altro. Questo mi ha fatto capire che, anche se avessi avuto dei dubbi,  i suoi complimenti e le sue dichiarazioni erano del tutto sincere. Certo una scelta di suoni così inusuale per un gruppo rock/metal moderno potrà far storcere il naso ad alcuni ascoltatori. A me però piace mantenere un approccio “artistico” verso le cose che facciamo e quindi sono felicissimo del risultato. Io e Ronan, in questo, ci siamo trovati sulla stessa lunghezza d’onda e questo mi fa pensare che qualcosa di buono, in ciò che abbiamo creato, ci sia effettivamente. Dopotutto lui lavora da quasi trent’anni nel music business ed ha lavorato per i mostri sacri che hai citato: forse qualcosina ne sa!

Vorrei capire qualcosa sui testi. Ho apprezzato “Sin Cara”, “Heart of the World”, “Misty Visions of an Ordinary Day”, mi è sfuggito invece il significato del testo di “Indifference”. “The Orgins of Matter and Life” è un qualcosa di…dimmi tu cosa è!
Perseo: Di ambizioso forse, direi. E’ la storia della creazione dell’Universo! Ci sono molte teorie che tentano di spiegare l’origine dell’universo e della vita, ma nessuna, per la nostra stessa natura finita, può essere dimostrata vera. Molte si muovono ora al di là ora al di qua di quella linea di confine che separa la scienza dalla filosofia, la matematica dalla spiritualità. Ogni grande scienziato che si sia occupato di questi temi, coltiva solitamente una qualche forma di spiritualità, che è la vera forza propulsiva del suo lavoro, perchè coivolge il desiderio di conoscenza e la sfera delle emozioni umane e da calore e potenza alla ricerca scientifica, che sarebbe altrimenti fredda ed inespressiva. Mi ha sempre affascinato il rapporto tra mente e corpo e tra pensiero, coscienza e realtà e mi è quindi venuta l’idea di scrivere un concept che coinvolgesse tutte queste tematiche assieme. Non volevo però fare una trattazione impersonale di questi temi, avevo bisogno di una storia e lo spunto l’ho trovato dagli esperimenti per lo studio sulla sopravvivenza fuori dall’atmosfera degli esseri viventi, eseguiti dagli americani negli anni 40/50. In particolare, nel 1949, Albert II, una scimmietta, fu inviata in orbita e divenne la prima scimmia nello spazio. Nella lunga suite “The Origins of Matter and Life” racconto proprio la storia di Albert II, romanzandola. Mi sono chiesto: cosa avrà pensato quella scimmietta chiusa dentro una capsula sparata in orbita? E da qui ha preso origine la storia. Su “High” descrivo proprio le sensazioni di Albert, su “The Cosmic Architect” descrivo l’operato dell’Architetto Cosmico, ossia un qualsiasi essere autocosciente che, tramite l’atto del pensare, costruisce, a sua insaputa ed inevitabilmente, un universo. E’ proprio Albert II che, avendo acquisito in qualche modo (forse a causa dell’assenza di peso e di altre concause) autocoscienza, diventa anch’egli un Architetto Cosmico, iniziando a pensare e aumentando progressivamente la sua capacità intellettiva. Su “Tree of Life”, si parla della nascita della vita in questo nuovo universo, dove l’albero della vita è una metafora per descrivere gli sconosciuti processi che portano la materia inanimata a formare strutture complesse che possono poi generare organismi viventi. Su “Crossing the Line” Albert finalmente raggiunge la piena autocoscienza e conoscenza del mondo: capisce che l’universo è creato a partire dal pensiero di un essere vivente e che ogni universo è racchiuso dentro il cervello di qualcuno, cervello che produce pensieri che, quasi cristallizzandosi, potremmo dire, creano i mattoni di base del cosmo. Albert, quindi, partito come semplice scimmietta, adesso è diventato un essere superiore, dotato di conoscienza quasi infinita, in quanto ha assistito personalmente alla creazione del suo universo e, contrariamente a quanto accade di solito, si è ha preso coscienza di ciò che stava facendo e di ciò che stava accadendo. Una ultima domanda, però, rimane aperta e lui non riesce a trovargli risposta: come può l’autocoscienza originarsi dalla materia. Cosa è la coscienza? E’ un qualcosa che si origina da una particolare sequenza, da una particolare struttura di atomi e molecole all’interno di un cervello o è qualcosa di esterno ad esso, un qualcosa che proviene dai confini dell’universo e si installa, invece, in un cervello che sarebbe solo, in questa ottica, una “culla” per la coscienza? Su Albert II, ultima canzone della suite, Albert si interroga sulla domanda: chi ha creato l’universo nel quale io esisto? Ogni universo è prodotto e contenuto  nel pensiero di un Architetto Cosmico che esiste in un altro universo pre esistente ed ogni universo è a sua volta contenuto, quindi, in un altro, come in una matrioska. Su questa ultima canzone Albert continua indefinitamente a porsi la stessa domanda che prende la forma di una filastrocca ripetuta. Fino a che, alla fine, si sentono due controllori di volo (coloro che, da terra, tenevano sotto controllo i parametri vitali di Albert per studiarli nel loro esperimento) che attestano la morte della scimmietta. Pure essendo un creatore di universi, infatti, Albert rimane oggettivamente dentro la capsula e tutta la vicenda narrata nella suite accade dentro la sua mente. Con il dialogo dei controllori di volo nella parte finale della suite, inoltre, ho voluto far riflettere sulla crudeltà degli esperimenti sugli animali, che sono comunque esseri senzienti, con una loro profondità psicologica e con le loro emozioni, come paura, gioia, disperazione o felicità. Siamo solo all’inizio del lungo viaggio che potrebbe metterci in comunicazione con le loro menti e non possiamo continuare a pensare che gli animali esistano ad uso e consumo dell’uomo. Essi sono meritevoli di rispetto, anche solo per il fatto che non possiamo sapere cosa si agita nei loro pensieri, come ci vedono, come ci considerano. La loro mente, ne sono convinto, è molto più complessa di quanto noi non possiamo arrivare ad immaginare ed usarli come cavie è una cosa veramente barbara ed incivile, oltre che inutile, come riconosciuto da molti scienziati. Mi riferisco a qualunque tipo di esperimento, non solo a quelli effettuati per i voli spaziali. E non parlo per sentito dire o per convinzione personale: se siete curiosi, a titolo di esempio, provate ad andarvi a cercare su internet le dichiarazioni rilasciate dagli scienziati che hanno effettuato l’esperimento con la cagnetta Laika. Ci sono voluti molti anni, ma hanno riconosciuto la crudeltà della cosa e, pentiti, hanno anche riconosciuto che l’esperimento non gli ha nemmeno fornito un numero di informazioni utili tali da potere, in qualche rocambolesco modo, giustificare quanto è stato fatto a quel povero animale. Ora hanno fatto una statua alla cagnetta: secondo voi è sufficiente?
Daphne: Io ti spiegherò “Indifference” raccontandoti a grandi linee come questa canzone è nata. Il nucleo del suo testo risale a molto tempo addietro rispetto al mio ingresso nei Lunocode: aveva cominciato a prendere forma da riflessioni ed emozioni che mi suscitavano eventi violenti, verificatisi tra alcune popolazioni, la cui scia di sangue non è ancora estinta. Le riflessioni che si snodavano nel testo riguardavano la violenza e le motivazioni che ad essa sottendono, la lotta per la supremazia delle ideologie, la sete insaziabile di potere sui propri simili, nonché sulla stessa Terra che abitiamo. Il tutto affiora dalle metafore che in parte sono rimaste nel testo attuale. Poi, parlando con Perseo di alcuni testi di Sagan, sono affiorati concetti similari ed altri che andavano ad arricchire ulteriormente l’argomentazione di questo testo: il brano ha così gradualmente assunto tratti più coerenti e si è aggiunto un lato più profondamente esistenziale, che traccia un filo conduttore tra la natura umana e l’universo in cui è immersa. Le riflessioni di Sagan sul “Pale Blue Dot” mi hanno ispirata nel dare una struttura particolare al testo: come se fosse una telecamera che velocemente si allontana dal dettaglio pieno di carica emotiva (le madri che piangono i figli uccisi), per avere una visuale sempre più distante, distaccata e complessiva di quell’elemento che inizialmente compare predominante, di importanza assoluta (l’uomo la sua crudeltà e il suo amore) e che, immerso nell’oceano di stelle, appare quasi insignificante. Così “Indifference” ha preso forma e si è incastonata nella corona di concetti racchiusi in quest’album.

Sono davvero adatte le immagini nelle pagine che accolgono i testi, nel booklet, però la copertina è fantastica. L’adoro: per il punto di vista, per i colori, per l’atmosfera, per quell’aereoplanino sostenuto. Puoi dirmi come è nata e che messaggio porta dentro?
Perseo: La foto nasce da una idea che mi è balzata in testa un giorno mentre ero in terrazza a casa mia durante la pausa pranzo dal lavoro. Ho alzato lo sguardo ed ho visto davanti a me l’aeroplanino segnavento che mio nonno ha costruito tanti anni fa. Subito l’idea di usarlo nella copertina del nuovo disco mi ha folgorato. Ho fatto alcuni schizzi e poi ho chiesto a Gaia, la nostra fotografa, di fargli delle foto. Lei aveva poi fatto delle belle foto al cielo quando, l’estate scorsa, siamo stati in puglia a suonare all’A.live Rock Festival di Barletta ed una di queste era lo sfondo perfetto dove inserire l’aeroplanino del nonno. Dopo una aggiustatina ai colori per dargli un effetto “da dipinto” e l’inserimento del pianeta sullo sfondo è venuta fuori la copertina che vedi, impreziosita anche dai due uccelli che volano vicino al nostro logo, che non sono stati aggiunti ma erano proprio nella foto originale. A parte l’attaccamento affettivo all’aeroplanino, il messaggio di fondo è che l’uomo è per natura portato verso l’infinito, desidera volare alto, per soddisfare la sua curiosità di conoscere ed il suo desiderio di fare cose grandiose. Quando questo non sia possibile nella realtà l’uomo sempre ricorre al sogno o all’arte. L’aeroplanino è proprio la metafora di un desiderio, di un sogno. Infatti, a differenza degli uccelli sullo sfondo, che volano senza difficoltà, esso si poggia su un palo che lo sostiene e che è posato saldamente a terra. Vorrebbe volare e ci prova con tutte le sue forze, ma non può: proprio per questo rappresenta lo sforzo dell’uomo, la volontà di tentare comunque, di perseguire un ideale. E’ come se cercasse di volare verso cieli distanti usando come propulsione la forza dell’immaginazione del suo creatore. Rappresenta la volontà di fare qualcosa anche quando non se ne hanno i mezzi e quindi ci si ritrova a fare l’unica cosa possibile: fantasticare, sognare ad occhi aperti, immaginare. E’ una cosa innata nell’uomo e penso che l’immagine di copertina ne sia una descrizione perfetta. La tensione verso il sublime, l’ideale. Un pò come lo “Streben” del Romanticismo, ora che ci penso.

Si lavora per mesi a scrivere, registrare, pubblicare un album, quando poi è sul mercato cosa fa una band?
Daphne: Dopo?… dopo ci sono i salti mortali tra promozione sul web, prove e ricerca di locali per suonare. Nonché la riflessione sulle strategie migliori per raggiungere più pubblico, mantenendo l’integrità del progetto attraverso i metodi ed i canali più adatti. La riflessione continua sul nostro operato, il confronto con altre band e con il pubblico sono il pane quotidiano: è un atteggiamento vitale.

Vi ringrazio per aver trovato il tempo da dedicare a Metalhead.it e rinnovo i miei complimenti. A voi la chiusura dell’intervista.
Daphne: Allora approfittiamo per invitare te e tutti coloro che leggendo quest’intervista e soprattutto ascoltando i nostri brani on-line si incuriosiranno: sarete più che benvenuti ai nostri concerti e sarà un piacere conoscervi di persona!

Alberto Vitale

recensione: https://www.metalhead.it/?p=2468