Luca Turilli’s Rhapsody, Freedom Call, Orden Ogan, Vexillum, 24/11/2012 Orion, Roma

Esistono concerti che l’appassionato di power metal a 360° non può lasciarsi sfuggire, e quest’anno l’evento maggiore è sicuramente costituito dal Cinematic World Tour dei Luca Turilli’s Rhapsody. Non starò qui a ricordarvi la scissione dei Rhapsody of Fire, o di come il Turilli nazionale abbia messo insieme i ‘suoi’ Rhapsody e pubblicato l’ottimo “Ascending to Infinity” (recensito QUI), e già che ci siete potete anche tornare sulla nostra intervista con Alessandro Conti, QUI). Sono infatti notizie che rimbalzano sui portali di musica da diversi mesi. Le attese per questo lungo tour europeo erano altissime e possiamo di certo dire che Turilli e i suoi alfieri le soddisfano in pieno, anche senza il secondo chitarrista Dominique Lerquin (che, come molti sanno, si è quasi amputato una mano durante un incidente domestico).

Alla data di Roma, presso l’Orion, la partecipazione di pubblico è buona ma non c’è il tutto esaurito: e stavolta chi si è lamentato per i costi o le location italiane va considerato realmente incontentabile. Quattro date (Bologna, Milano e Treviso le altre tre) soddisfano abbastanza equamente la geografia degli appassionati, e una spesa attorno ai 30 euro – per uno show con QUATTRO bands per un totale di quasi CINQUE ore di musica – è più che equa. Insomma, per quelli che non c’erano… è soltanto colpa vostra!!!

Aprono i Vexillum (in foto), che accompagnavano già i Rhapsody of Fire dell’ultimo tour. Il loro power/folk quasi ‘ballabile’ è l’ideale per aprire le danze, e i nostri ce la mettono tutta, agitandosi nei loro kilt, nonostante una resa sonora non impeccabile (soprattutto per quanto riguarda la batteria). I brani di “The Biouvac” (recensito QUI) suonano molto bene dal vivo anche se continuo a preferire “Avalon”, dal debut: e forse avrei incluso in scaletta anche un inno come “Valhalla”, che avrebbe fatto urlare a squarciagola i presenti all’Orion.

Gli Orden Ogan (in foto il bassista) hanno un approccio completamente diverso: un power con molte venature prog, una presenza scenica più statica ma anche più rocciosa (i tedeschi praticamente vestono una armatura!), brani lunghi e dall’incedere torrenziale. Quasi tutte le canzoni provengono dall’ultimo disco “To the End” (recensito QUI), anche se ovviamente la scaletta include pure il classico “We are Pirates”, la track ‘runningwildiana’ che ha lanciato la band. Si apprezza in modo particolare “Angels War”, con il suo incedere intricato.

È quindi il momento dei Freedom Call e del loro “happy metal party”: sarà forse la quinta volta che incrocio dal vivo la band di Chris Bay e mi sembra che ad ogni show quest’ultimo esalti maggiormente la propria natura istrionica e intrattenitrice. ‘Recitando’ diverse frasi in italiano, e dialogando quindi continuamente con il pubblico, suscitando così ilarità e ampie risate, il chitarrista giunge addirittura a sforare con i tempi, ed è costretto a interrompere a metà l’esecuzione della conclusiva “Land of the Light”. Un vero peccato, perché il pezzo è da sempre quello che suscita il maggior entusiasmo da parte del pubblico, che in ogni caso saltella agli ordini della band anche su “Rockstars” e “Power and Glory” (provenienti dall’ultimo disco, “Land of the crimson Dawn”, recensito QUI… e potete andare QUI per due chiacchiere con lo stesso Bay). Altro classico che molti (se non tutti) cantano a squarciagola è “Warriors”. I Freedom Call rendono dal vivo ancor più che sul disco, e si fanno apprezzare per la loro carica genuina. Respekt!

E siamo quindi, dopo circa tre ore fra concerto effettivo e cambi di palco, ai Luca Turilli’s Rhapsody (in foto a sinistra). Lo spettacolo è effettivamente ‘cinematico’: sullo schermo dietro la band passano video e immagini, luci e fumogeni non hanno una funzione meramente esornativa, e le due brevi esibizioni di ballo di Nadia Bellir (nella prima vestita da una sorta di ‘angelo elettrico’!) accrescono l’attrattività dell’insieme. Ottima la band. Alessandro Conti dimostra chiaramente di valere dal vivo tutto ciò che dimostra sul disco, e reinterpreta con classe i brani scritti sia per Fabio Lione che per Olaf Hayer; Patrice Guers e Alex Landenburg hanno i loro momenti di gloria sui rispettivi solos; la presenza come guest di Mikko Härkin è assolutamente indispensabile per evitare che tutte le keys siano preregistrate… insomma, l’unico che non si fa notare è proprio Luca Turilli, che non chiede un momento di gloria chitarristica e non si mette mai al centro del palco e dell’attenzione. Sia chiaro, però: mi sembra evidente come si tratti di un atteggiamento di genuina modestia e non di stanchezza o di sufficienza nei confronti dei fans. Ce ne fossero altri di artisti così!

Il vero segreto del successo dello show sta nella generosa inclusione, all’interno della scaletta, di molti pezzi dei vecchi dischi solisti del guitarist: brani che gli appassionati hanno atteso di ascoltare live anche per quindici anni, e che finalmente sono a disposizione per l’headbanging. “The ancient Forest of Elves”, “Demonheart”, e addirittura (nel mini-set acustico) “Warrior’s Pride” sono la sorpresa più gradita della serata. La band non lesina neanche vecchi o vecchissimi classici dei Rhapsody: “Dawn of Victory” è il solito trionfo, sul folk di “The Village of the Dwarves” e “Forest of Unicorns” ballano un po’ tutti, l’inizio affidato a “Riding the Winds of Eternity” è meravigliosamente inatteso, ma è il bis che bisogna aspettare per beccarsi l’incredibile accoppiata “Emerald Sword”/”Warrior of Ice” (!!!). Non che i brani nuovi non funzionino, anzi creano certamente la giusta alternanza fra sonorità classiche e (relativamente) moderne: “Excalibur” è aperta da un simpatico siparietto fantozziano, “Tormento e Passione” vede il culmine della collaborazione vocale fra Conti e Sassy Bernert, “Dark Fate of Atlantis” è boombastica al punto giusto per infiammare i presenti. I fan più attenti e fedeli noteranno poi qui e lì (negli stacchi, nell’intro, nelle basi dei solos) altri estratti o fraseggi scelti da tutta la produzione turilliana, in un mosaico citazionista che aumenta ancora il coinvolgimento, strizzando continuamente l’occhio a chi segue i Rhapsody dal lontano 1997.

Per chiudere, una curiosità. Ho seguito la maggior parte del concerto al fianco di una intera famiglia: padre, madre e due ragazzi che sfoggiavano tutti magliette dell’ambiente power metal (se ricordo bene, Rhapsody, Edguy e Sonata Arctica). Una musica così positiva, potente, a tratti gioiosa avvicina al metal anche tipologie di pubblico relativamente inusuali, pronte a cantare accanto ai ‘consueti’ metalheads. Non è un aspetto da trascurare, assolutamente: a Luca Turilli e compagnia va anche il merito di farsi incontro, con la loro immagine ottimistica e vitale, ad appassionati che sono ben oltre i soliti confini.

(Renato de Filippis; foto di Alberto Vitale)

Set FREEDOM CALL

Freedom Call
Eyes of the World
Rockstars
Tears of Babylon
The Quest
Power & Glory
Warriors
Land of the Light

 

 

 

 

Set LUCA TURILLI’S RHAPSODY

Intro

Riding the Winds of Eternity

Clash of the Titans

Tormento e Passione

Demonheart

The Village of the Dwarves

Excalibur

Drum solo

Forest of the Unicorns

Warrior’s Pride

The ancient Forest of Elves

Bass solo

Of Michael the Archangel and Lucifer’s Fall

Son of Pain

Dawn of Victory

 

Dark Fate of Atlantis

Emerald Sword

Ira Tenax/Warrior of Ice