Il Made In Hell Fest arriva alla settima edizione e si sposta dalla Toscana alla Lombardia. Mossa rischiosa, ma decisamente valida per offrire uno spettacolo di alto livello anche ad un pubblico leggermente diverso, proveniente da luoghi diversi. Dopotutto la musica è universale… ed è la musica che dovrebbe andare in giro per farsi ascoltare da più gente possibile. Per questo esistono i tour. Per questo esistono musicisti che catturati dalla forza della loro musica, si infilano in un van o in un bus e se ne vanno, come girovaghi, un po’ ovunque.

Il Made In Hell, però, non è semplicemente un evento musicale, dove qualche prende gli strumenti e va a suonare. No di certo. Si tratta di un evento speciale, con un certo ben determinato orientamento stilistico. Al Made in Hell Fest si parla il metallo d’autore. Quello vero, quello serio, quello maturo. Il metal che fa storia, che fa divertire, esaltare. Il metal che offre spazio a vocalist incredibili, a chitarristi superlativi, un heavy metal tuonante che diventa territorio per musicisti esperti, coinvolgenti, passionali.

Iniziano gli Helikon. Sono del parere che il rock appartiene alla notte. Io, davvero, farei iniziare gli eventi come minimo dopo le dieci di sera… anche perché alle sette di sera il pubblico è ancora in pizzeria, non sotto il palco dove dovrebbe stare… e molto spesso penalizza bands grandiose perdendosi concerti favolosi. Quando gli Helikon sono andati in scena, la presenza al Colony era scarsa. Ma loro, con immensa professionalità, hanno suonato divinamente, con virtuosismi stupendi… quasi impensabili considerando la giovanissima età. Il chitarrista solista è magico e pure il singer vanta una capacità vocale non comune. Una band che sa guadagnarsi l’apprezzamento… tanto che i pochi presenti, sparsi in giro per il locale, lentamente si sono ammassati sotto il palco, incantati dalla performance di prim’ordine della freschissima band Bresciana. Musica suonata con passione, qualità e tecnica esemplare… musica che cattura tutti, musicisti, pubblico… l’atmosfera stessa che con gli Helikon passa da un tardo pomeriggio inaspettatamente soleggiato ad una serata tosta, nel nome dell’Heavy Metal.

Gli Aeternal Seprium uniscono un concerto pazzesco, con una qualità sonora impeccabile materializzata da musicisti fantastici, ad una simpatica devastante, una ironia sconvolgente. Una band che si diverte prima di tutto, e che fa divertire… e fa ridere. A crepapelle!una band che prima di tutto coinvolge il pubblico, scherzando, con una dose di autoironia non certo comune ai tipici atteggiamenti da prime donne che si notano sui palchi. Ed il nuovo arrivato (ormai da un paio d’anni…) il vocalist Fabio Privitera è una pura esplosione di simpatia e potenza vocale sconvolgente… anche lui catturato dalla musica o, nel suo estremo caso, pericolosamente posseduto.

Per quanto riguarda la simpatia il premio spetta sicuramente agli Alltheniko, power trio di Vercelli… una band decisamente fuori di testa… con un front man completamente pazzo ed un chitarrista enigmatico il quale sembra oscuro e serio, almeno fino a quando non te lo trovi dietro, tra il pubblico, con lo sguardo stralunato, suonando riffoni spacca ossa senza pietà e senza sosta. La band è veramente esagerata. Sono solo in tre ma di casino ne fanno per dieci… e tra l’ironia, le pose divertenti, le passeggiate tra il pubblico… riescono a mettere insieme melodie intense, linee vocali tutt’altro che semplici ed una musica d’insieme travolgente: musica che cattura, rapisce… sequestra!

Gli Etrusgrave, sono una cosa strana. Hanno un vocalist tosto, un ‘certo’ Hammerhead degli Angel Martyr! Ma l’attenzione l’attira il Maestro (maiuscolo) Fulberto Serena. Hammerhead dal palco lo ha definito “il nonno del metal italiano”. Ma lui non è solo il nonno (classe ’50)… nemmeno uno zio. Stiamo parlando di un musicista che è lui stesso un inno alle sonorità metal del nostro paese. Stiamo parlando di un qualcuno -o un qualcosa- di stratosferico.

Noto Fulberto arrivare con la compagna molto prima dell’inizio dell’evento (praticamente ad apertura porte). Tranquillo. In mezzo ai fans, alla gente normale, nessun accesso riservato, nessun tour bus di lusso, nessun atteggiamento superiore. Solo Lui, la sua Signora a braccetto, il suo giubbotto con le varie toppe e la maglietta della sua band. Sul palco scatena ripetuti applausi per lo stile sublime e il playing magistrale. Tanto provato dalle vicende della vita, la quale non è facile per nessuno, quanto agile e armonico alla sei corde. Quei riff pesanti eseguiti con la dolcezza della plettrata alternata, pensata per suonare con calore e non per fare scena, come di solito si nota osservando molti aggressivi chitarristi heavy metal. Il suo suonare è d’altri tempi, d’altra scuola, senza violenza, ricco d’armonia… sembra quasi che accarezzi la sua Gibson, la quale risponde eccitata e sensuale trasmettendo un suono superbo e maestoso. Mi piazzo davanti a lui, non mi sposto di un centimetro. Osservo come si muove, come sorride, come esalta le note. Mi colpiscono i pick slides: vedere un signore di quasi 70 anni strisciare il plettro sulla corda del MI, come il ragazzino che vuole fare rumore… ha un feeling strano… solo che Fulberto lo fa con amore; è emozionante vedere la mano destra che si posiziona per lo slide… il quale poi può materializzarsi o anche celarsi, a seconda delle teorie di improvvisazione che la sua mente da Maestro riesce a concepire improvvisamente… una mente rinchiusa dentro una testa, un volto, un viso sorridente… il sorriso di uno che adora suonare e che in quel momento, su quel palco, esprime tutto il significato più profondo della sua vita… trasmettendolo al pubblico, molto recettivo e travolto dalle emozioni. Normalmente sul palco osservo anche le attrezzature, le chitarre, gli amplificatori, le testate. E le pedaliere. Una band media si porta sul palco un collage spaziale di effetti e pedali, tutta roba che devi saper usare per evitare di fare brutta figura. Un labirinto di bottoni e pedali da premere al momento giusto per esaltare il suono. Fulberto? Una pedaliera altrettanto vintage, con quattro miseri pulsanti. E lui non li usa nemmeno tutti…

Quel suono totale ed avvolgente Fulberto lo crea con le dita e non con diavolerie infestate di elettronica. Ragazzi, inchinatevi davanti al Maestro e davanti alla sua band che propone un set possente, con linee di basso tuonanti, grazie alla maestria di Luigi Paoletti che riesce sempre ad adeguarsi alle inaspettate improvvisazioni di Fulberto, quest’ultimo genio scatenato e fuori controllo, devoto solo a quella musica che sa catturare e coinvolgere. Anche il giovane batterista non sbaglia un colpo e la potenza della band viene glorificata dalla visita on stage di Mr. Bryan “Hellroadie” Patrick, vocalist dei Manilla Road. Ancora una volta, catturati dalla musica!

I Manilla Road sono in giro dal 1977. Tantissimi presenti non erano ancora nati quando Mark Shelton ha messo in piedi questa pesantissima compagnia circense… e probabilmente molti di loro non erano nati nemmeno prima dell’uscita dei primi sei dischi: nel 1987 i Manilla Road avevano infatti già sei album nel curriculum… i primi sei di una lunga lista… una lista che copre ben 40 anni di carriera, celebrata dal Made in Hell 2017. Sto parlando di Heavy Metal storico, immortale, incorruttibile. I Manilla Road sono una band gloriosa che si affianca, lassù nell’olimpo del metallo e del fuoco, vicino a nomi come Manowar o Iron Maiden. Siamo davanti alla storia del metallo. Siamo davanti alla ragione per la quale gente come me scrive, gente come voi legge, ascolta, compra musica e partecipa ai concerti. Siamo davanti ad una delle ragioni per le quali ancora oggi ci sono ragazzini che prendono in mano una chitarra sognando di dominare un palcoscenico. I Manilla Road offrono uno spettacolo con uno stile d’altri tempi, ma dannatamente attuale. Efficace. Personalmente è stata un’esperienza eccitante. Coinvolgente. Una sensazione di abbandono totale, assoluto, uno stato di euforia incontrollabile e provocante all’ennesima potenza.

Una serata ricca di melodia. Di potenza. Di tecnica musicale. Artisti di immenso livello, dagli opener agli headliners, hanno dato vita ad un evento memorabile. Una serata nel nome della musica, quella che ti cattura la mente e non se ne va mai più. Per fortuna.

(Luca Zakk)