locandinanovembreUn ritorno che aspettavo da tempo quello dei Novembre, band tanto di culto quanto vergognosamente bistrattata dal panorama mondiale. Tanto meglio, nel senso che probabilmente questa loro caratteristica di ‘sotterraneità’ ha permesso ai fratelli Carmelo di fare ad ogni album esattamente ciò che volevano fare. Pure prendersi una lunghissima pausa dopo una serie di album praticamente perfetti. E ora finalmente un ritorno in grande stile con un lavoro, “Ursa”, capace di dare ragione alla loro a questo punto ragionata pausa creativa. Ma veniamo alla serata in questione. Sarà per il pubblico padovano ormai forse disabituato ad avere siffatti eventi in casa o vuoi perché c’erano comunque altri concerti in giro (Enslaved su tutti), fatto sta che la serata è cominciata in sordina. Poca gente e poco entusiasmo fino almeno all’apertura del concerto, affidato ai Winter Dust. Band valida, anzi più che valida. Una manciata di lunghi e decadenti brani, in grandissima parte strumentali, dove Doom e musica atmosferica perdono il confine che li separa per creare qualcosa di mistico e molto coinvolgente. Il pubblico apprezza invero solo verso il finale della loro esibizione. Intanto finalmente la gente comincia ad arrivare e l’ambiente si prepara ad accogliere come si deve i protagonisti della serata. In realtà già sapevo della dipartita dello storico batterista risalente all’anno scorso, ma non sapevo della mancanza pure di Pagliuso, ormai mente stabile nella realtà Novembre. A quanto ho capito durante il concerto, la mancata presenza era da addebitarsi a una non perfetta forma fisica del musicista. Peccato, anche se i sostituti han fatto un buon lavoro. La scaletta, che ha necessitato di un paio di canzoni per assestare i volumi, si è concentrata come previsto sull’ultima fatica in studio, ma con frequenti immersioni nel passato recente e meno del gruppo. La voce di Carmelo è ormai il suono più caratteristico dei Novembre, sempre passionale e avvolgente. Il resto del gruppo traina nelle chitarre e si fa trainare nella sezione ritmica, per una formazione che a dire il vero sembra ormai avere passato il rodaggio. Per la verità un concerto un po’ cortino (si parla di una settantina di minuti), ma sentire nel finale “The Dream Of The Old Boats” ha sempre un suo perché, in assoluto una delle più belle canzoni che abbia mai ascoltato. Il pubblico alla fine è stato una presenza dal sapore agrodolce, mai completamente coinvolto se non alla fine e comunque non abbastanza numeroso specie considerato il peso delle band presenti sul palco. Un motivo in più per sentirsi fortunati nell’esserci stati.

(Enrico Burzum Pauletto)