Durante la recente estate ormai defunta per mano dell’autunno, vi raccontai di aver visto i Paradise Lost al Beyond the Gates di Bergen, in Norvegia. Vi dissi che dovettero suonare un set ridotto che tagliava molti bei brani, ma vi/mi consolai ricordando che sarebbero arrivati in Italia a breve: eccoli quindi, a Padova, a fine ottobre, con un album “Ascension”, appena pubblicato! Finalmente!

Lo show italiano dell’Ascension of Europe tour è stato forse meno comunicativo di quello di Bergen: meno interazione con il pubblico… a Bergen il dialogo arrivò a essere anche esilarante (come la battuta sulla loro età confermata vedendo un pubblico calvo o con capelli bianchi), mentre a Padova la band si è concentrata sulle canzoni, offrendo un set molto consistente. Se a Bergen l’esibizione dovette orientarsi su soli nove brani, a Padova la band ha suonato intensamente quasi il doppio di canzoni (sedici)… encore compreso!

La forma è confermata: la band spacca, è tuonante, è impattante, cambia con nonchalance tra brani delle varie epoche (da quelle più doom a quelle synth), e se Nick Holmes risulta tanto performante quanto ‘timido’, ci pensa il pazzo di Aaron Aedy a tenere vivo l’impatto visivo: headbanging, schitarrate violente, praticamente è l’energia dinamica dell’intera band dal vivo.

Gli altri membri fanno i Paradise Lost fino in fondo: oscuri, gotici, ma eccellenti, sempre perfetti, dimostrando cosa possa significare suonare insieme da ben 37 anni, periodo durante il quale solo i batteristi si sono avvicendati nella line up della band di Halifax.

La set list accontenta tutti. Accontenta il sottoscritto grazie a capitoli quali “True Belief”, “One Second”

“Say Just Words” o “Nothing Sacred”, ma davvero i Paradise Lost sono riusciti a proporre pezzi quasi dall’intera discografia: dall’ultimo “Ascension”, da “Icon”, da “One Second”, da “Host”, da “Believe in Nothing”, da “The Plague Within”, ma anche da “Faith Divides Us – Death Unites Us”, “Tragic Idol” e “Draconian Times”, oppure “Symbol of Life” e “Obsidian”, andando indietro fino a “In Requiem”, addirittura “Shades of God” del 1992 con la leggendaria “Pity the Sadness”. Con Nick capace di cambiare timbro vocale adattandosi ogni volta a brani profondamente diversi tra loro.

In apertura gli italiani Messa, con il concerto di casa (sono tutti della zona!): efficaci, travolgenti, con la sempre bellissima ed eterea voce di Sara, con una performance dannatamente esaltante del chitarrista solista Alberto, il quale ha scaldato un pubblico numeroso fin dall’inizio.

Finalmente? Sì, finalmente.

Finalmente – anche in Italia – vedo il pubblico numeroso presente anche prima degli headliner.

Finalmente vedo i Messa su un grande palco, finora li avevo visti sempre e solo in piccoli club. Sono cresciuti. E continuano a crescere esplosivamente. Questi ragazzi meritano molto!

E, finalmente, ecco i Paradise Lost in piena forma, senza tagli, capaci di scegliere i brani perfetti da un repertorio quasi infinito, radicato sull’eccellenza di quasi quattro decenni e ben 17 album in studio!

(Luca Zakk)

Foto: Monica Furiani Photography

Foto: Monica Furiani Photography