(Nuclear Blast) E “Time II”? Otto anni fra il debut e “Time I”, altri cinque anni di attesa… e da dove escono queste “Forest Seasons”, mentre dovevamo avere la seconda parte del capolavoro del 2012? I Wintersun sono una grandissima band, ma sono i peggiori venditori di se stessi che abbia mai visto sulla scena: fra un ritardo e l’altro, fra una furbata commerciale (appunto, dividere “Time” in due parti, di cui la prima è di due intro e tre canzoni) e un crowdfunding (discutibilissimo) per la costruzione di un nuovo studio, si sono creati un’immagine quasi truffaldina, che può essere ‘perdonata’ solo se la loro musica resta eccezionale. E allora, come suona questa versione epic symphonic death metal nientedimeno che ‘Le quattro stagioni’ di Vivaldi, che nessuno si aspettava fino a pochi mesi fa? L’esigenza di recensire questo disco in fretta mi impedisce, probabilmente, di assimilarlo a dovere (ma non so quanto servirebbe… una settimana? Due? Un mese?), ma in pochi giorni mi sono comunque convinto di un paio di cose. Primo: non siamo, ahimè, ai livelli stellari di “Time”, non so se Jari Mäenpää ha voluto strafare o ha avuto un piccolo calo di ispirazione (o magari entrambe le cose), ma la differenza si sente. Secondo (strettamente collegato al primo): non tutto funziona alla perfezione, la seconda metà del disco, quella con autunno e inverno, è MOLTO superiore alla prima. I tredici minuti della power ballad conclusiva “Loneliness (Winter)”, infatti, sono epici, struggenti, cinematografici, intensi, clamorosamente belli praticamente in ogni passaggio; e la furia black di “Eternal Darkness (Autumn)” è devastante, incessante come i pattern di batteria, furibonda come le harsh vocals di Jari, qui particolarmente in palla. “Awaken from the dark Slumber (Spring)”, invece, funziona molto di meno: è il pezzo più lungo (quasi quindici minuti) e in più di una situazione sembra che non si vada proprio da nessuna parte, i suoni troppo squillanti di alcuni passaggi non mi sembrano adeguati al contesto, manca pure una linea portante facilmente distinguibile a cui ‘affezionarsi’. Va meglio con “The Forest that weeps (Summer)”, che ha un bel refrain, bei passaggi strumentali di tono quasi folk e un bel solo arrembante: ma siamo lontani dal masterpiece. Provo a tirare le somme: “The Forest Seasons” ci dimostra ancora una volta che non basta che un brano sia lungo ventitré minuti perché possa essere definito bello; che i Wintersun sono capaci di cose magnifiche, ma anche di un certo songwriting pretenzioso e autoreferenziale che può abbindolare solo chi resta sulla superficie, abbagliato dagli arrangiamenti boombastici e dalla forza dell’insieme; e che singoli passaggi di maestosa bellezza non compongono per forza un disco da full score. I miei colleghi recensori sono tutti in imbarazzo con il voto e sparano comunque alto; e anche io, se faccio una media fra il valore in sé della band, il 9 da assegnare alla seconda parte e il 6,5 della prima, mi ritrovo una valutazione forse superiore al reale valore intrinseco di “The Forest Seasons”. Speriamo comunque di trovarci ad ascoltare il peggior disco della carriera dei Wintersun, che è in ogni caso superiore al 70% di ciò che arriva in redazione ogni giorno!

(René Urkus) Voto: 7,5/10