copayeron(Century Media Records) Geniale artista Arjen Lucassen. Un artista poliedrico, un artista con mille idee, mille ispirazioni e molti progetti. Risale a solo un anno fa il suo ultimo lavoro (a nome di Arjen Lucassen), al 2010 il complesso “Victims Of The Modern Age” (secondo lavoro a nome di Star One), al 2009 il bellissimo “On This Perfect Day” (a nome di Guilt Machine) e ben a cinque anni fa il mastodontico “01011001” a nome di Ayreon. Lucassen canalizza la sua forza creativa in questi ed altri progetti nei quali è l’unica mente, da compositore ad autore, da produttore a creatore del concetto. Non sono mai canzonette, siamo sempre nel magico territorio dei concept album, ed ogni suo lavoro merita un elogio per diversi motivi. Il primo tra tutti è la capacità di reinventarsi, la potenza mentale nel creare storie a che a volte continuano e che a volte sono completamente nuove. Poi riesce sempre ad avere un range di invitati fantastici, creando  un esaltazione ideale della dream band. E questo nuovo lavoro rappresenta forse il non plus ultra (almeno fino ad ora) per quanto riguarda la scelta di cantanti e musicisti che si avvicendano sulle quarantadue canzoni che questo doppio CD propone. Un’ora e mezza di evoluzione e divagazione musicale, creata per descrivere una vicenda, una storia che questa volta è ispirata al romanzo “Guida galattica per gli autostoppisti” di Douglas Adams. Il cast, come dicevo, è impressionante: la poderosa Sara Squadrani (Ancient Bards), l’immensa Cristina Scabbia (Lacuna Coil), il fantastico e potentissimo JB (Grand Magus), l’oscuro John Wetton (Asia, UK, ex-King Crimson, ex-Family, ex-Roxy Music), il potente Marco Hietala (Nightwish, Tarot), il grintoso  Michael Mills (Toehider) e l’ottimo Tommy Karevik (Kamelot, Seventh Wonder). E questo solo per quanto riguarda le voci. Gli strumentisti invitati sono anch’essi di assoluto prestigio e tra questi cito Keith Emerson (ex-Emerson, Lake & Palmer) con un assolo micidiale di tastiera su “Progressive Waves”, che sulla stessa canzone duetta con Jordan Rudess (Dream Theater). C’è Steve Hackett (ex-Genesis) con un bellissimo assolo di chitarra su “The Parting”. Non manca il violino, un ottimo violino, a cura di Ben Mathot. E nemmeno strumenti inusuali come il Bouzouki suonato da Michael Mills (Toehider) e le Uilleann pipes di Troy Donockley (Nightwish), o strumenti pieni di calore come il violoncello di Maaike Peterse ed i flauti di Jeroen Goossens . Non manca nemmeno il tastierista Rick Wakeman (ex-Yes).  Le quarantadue tracce sono in realtà le parti di quattro macro canzoni e conducono attraverso una evoluzione della storia accattivante. Si sentono cose assurde, cose nuove, cose sconvolgenti (pezzi come “The Breakthrough”, giusto per citarne uno a caso), ma anche dei momenti non freschissimi, quasi un feeling di cose non già sentite… ma già percepite nelle produzioni precedenti. Questo ultimo fattore  all’inizio mi sembrava un difetto ma dopo numerosi ascolti mi sono illuminato, ho capito, ho raggiunto una dimensione all’interno di questo lavoro la quale mi ha aperto la mente. Ciò che percepisco altro non è che un family feeling, una identità di un progetto. L’album suona dannatamente Ayreon e considerato che è una “band” con un unico creatore e compositore, il quale ha altre sette o otto “bands” diverse, la cosa risulta geniale: non si sentono cose che assomigliano ai Guilt Machine o agli Star One. Non c’è la musica di Arjen Lucassen o presa da Ambeon. Qui c’è Ayreon al cento per cento e davvero ignoro come possa fare un essere umano così ispirato ad avere questa creatività selettiva, quasi una forma di molteplice personalità artistica, quasi non ci fosse un solo Lucassen, ma ce ne fosse uno per ogni progetto che mantiene attivo. “The Theory Of Everything” è un capolavoro di composizione, di musicalità, di melodia, di ambientazione… e pure di molte altre cose. Ci sono momenti esaltanti, momenti drammatici, momenti pieni di una carica intensa (io adoro “Transformation”) e ci sono ampi spazi per tutti gli ospiti che possono esprimersi al meglio mantenendo l’identità che li ha resi famosi, come se Arjen fosse in grado di scegliere l’ospite non solo per -ad esempio- il timbro vocale ma anche per il normale modo di cantare, assegnandoli il personaggio che più si avvicina alla carriera dell’ospite stesso. Giudizi? Preferenze? Note tecniche? Una recensione? Credo non serva davvero. Non a caso mi sono intenzionalmente preso il lusso di scrivere questo testo ad oltre un mese e mezzo dalla pubblicazione. L’unica cosa che serve, per chiunque voglia avvicinarsi a questa opera, è prendersi qualche ora libera, un buon impianto stereo, delle cuffie… ed aprire la mente alle emozioni. Una mente che poi viaggerà libera, vagando tra le vicende vissute dal protagonista della storia, una mente che volerà su dimensioni sconosciute, ritornando con un bagaglio di ricordi ed esperienze senza limite.

(Luca Zakk) Voto: 10/10