(Ri)vedere sul palco i Wintersun vale bene un viaggio fino a Roma: nonostante l’età che avanza e il lavoro che incombe, trovo il modo di raggiungere il Traffic Live Club, dove lo show dei finlandesi è stato trasferito pochi giorni prima dell’evento, addirittura per l’apertura dei cancelli. I tempi tecnici dell’intervista con Teemu Mäntysaari, però, sono biblici: riesco a entrare in sala soltanto a metà dello show dei Whispered, che propongono un interessante battle metal di ispirazione giapponese. Sul palco, vestiti da samurai, i nostri danno il meglio nell’esecuzione della torrenziale “Sakura Omen”, non a caso il primo singolo scelto per presentare l’ultimo disco “Metsutan – Song of the Void”.

I Wintersun: la band più criticata dell’ultimo anno, ma con una base di fan crescente, in grado di attirare 150 appassionati circa anche in un luogo metallicamente ai margini come Roma, e peraltro la sera di un lunedì lavorativo. La prima volta li vidi a Wacken nel 2006, quando non erano (quasi) nessuno e suonavano a mezzogiorno; poi altre due volte in Germania, nel tour di supporto a “Time I”, fra 2013 e 2014, osannati da migliaia di tedeschi letteralmente impazziti. Ora c’è da verificare la tenuta live delle ‘quattro stagioni’ di “The Forest Seasons”: Jari Mäenpää si dedica alle sole mansioni di cantante, agli altri il compito di replicare dal vivo il wall of sound ottenuto in studio (non il LORO studio, quello che adesso costruiranno con il crowdfunding più vertiginoso della storia del metal, ma comunque un buono studio). La missione è compiuta? Direi proprio di sì.

Ovviamente, inevitabilmente, la “Awaken from the dark Slumber” che non mi aveva fatto impazzire su disco è, sul palcoscenico, una opener potente e fascinosa: i suoni sono molto più amalgamati, coerenti, coinvolgenti, per cui siamo al paradosso estremo in cui un brano di un quarto d’ora rende meglio dal vivo che su cd! Dopo cotanta overture, “Winter Madness” ha naturalmente il compito di scatenare la folla, che sulla immediatamente successiva “Beyond the dark Sun” si esibisce nel pogo più sfrenato, cui non partecipo per raggiunti limiti d’età. Il fatto di non reggermi in piedi dopo il lavoro e la trasferta di 250km è, almeno per un verso, un vantaggio: è più o meno a questo punto della serata che una bellissima fanciulla romana, occhi azzurri e capelli castani tendenti al rosso, trova posto immediatamente alle mie spalle, e mi sorride tutte le volte che, come me, per evitare i ragazzi scatenati li sospinge verso il centro del locale. Varrebbe la pena di contemplare solo lei, ma i Wintersun mi richiamano all’ordine con una struggente “Death and the Healing”, ammaliante e sublime, che mi convince ancora una volta di come Jari renda forse meglio in clean che in harsh vocals.

Il culmine dello show è naturalmente “Sons of Winter and Stars”, apoteosi di un sound ‘spaziale’, quello di “Time I”, che per quel che mi riguarda ha davvero cambiato la storia di almeno due generi, il power e il death: mentre le mie spalle vengono sfiorate, qualche volta, dai capelli della bella romana dedita all’headbanging, mi sporgo in avanti a cercare Kai Hahto, per stupirmi ogni volta di come faccia un uomo in carne ed ossa a suonare così velocemente la batteria. La band ha il coraggio di portare sul palco “Loneliness”, e fa bene: l’interpretazione di Jari si fa sentita e sofferta, le chitarre girano alla perfezione, tanto che la scatenata “Starchild”, che pure è quasi perfetta, costituisce un anticlimax per la tensione emotiva che si è venuta a creare. Ma le sorprese non sono finite. C’è ancora tempo per tutta “Eternal Darkness (Autumn)”: per i primi e gli ultimi tre minuti Kai è ancora una volta un treno in corsa, una macchina che non ha nulla di umano; e sul finale improvviso, che su disco è quasi urtante, dal vivo invece si spengono tutte le luci, con un effetto che strabilia il pubblico. Il bis è, ovviamente, “Time”, che i fan romani conoscono a memoria, e che i nostri suonano come un inno da stadio, consapevoli delle loro capacità.

Non che avessi bisogno di conferme, perché ho pochi idoli in ambito metal (e forse nella vita in generale), ma il signor Jari Mäenpää, questo nordeuropeo con le spalle strette, il naso a punta e un ghigno sempre dipinto in faccia al posto del sorriso, che a guardarlo in un altro contesto non gli daresti alcun credito, è una delle poche personalità veramente geniali della scena. Uno di quelli che ha saputo inventare qualcosa di nuovo: che sappia gestirlo è un altro discorso, ma la manciata di brani che ha scritto in 13 anni (diciassette in tutto, comprese due intro) ha lasciato il segno. La serata di Roma lo testimonia.

Tracklist:

  1. Awaken from the dark Slumber (Spring)
  2. Winter Madness
  3. Beyond the dark Sun
  4. Death and the Healing
  5. Sons of Winter and Stars
  6. Loneliness (Winter)
  7. Starchild
  8. Eternal Darkness (Autumn)
  9. Bis: Time

(René Urkus)