fotoxbeastivalAppena qualche giorno fa, il mio amico Luca Zakk ha scritto un meraviglioso articolo sulla professionalità nel mondo del metal (QUI), e prendo spunto da quello che vi ha raccontato lui per descrivervi la mia esperienza generale al Beastival, festival bavarese erede di quell’Earthshaker rappresentato in un ben noto DVD dei Manowar.

‘Professionalità’, peraltro di rigida impostazione germanica, è infatti l’unica parola che mi viene in mente per illustrarvi l’organizzazione generale dell’evento: perché non mi è mai capitato di trovarmi ad un festival dove il tempo sia stato così inclemente (tre giorni di pioggia e vento con temperature serali al di sotto dei dieci gradi) senza che questo comportasse il minimo disagio per gli spettatori; perché i suoni erano buoni, se non ottimi, in qualunque punto dell’area dedicata allo show; perché è la birra costava tre euro e non era neanche annacquata; perché il massimo ritardo è di stato di dieci minuti (!) per i Sabaton, headliner dell’ultima giornata; perché il sapone nel bagno veniva ricaricato ogni tre ore (!!) e potevi lavarti le mani anche a mezzanotte; perché – e questo mi sembra veramente il segnale più evidente di una civiltà che noi possiamo solo sognarci – i gruppi di ispirazione nazionalista (per non dire di peggio) non mancavano, ma tranne un isolato cretino (che è venuto anche a prendersela con me perché, a suo dire, ‘guardavo in modo arrogante’ lo show degli Eisregen) nessuno si è minimamente permesso di fare stronzate. Se penso alla mia lunga frequentazione di Gods of Metal, Heineken Jammin’ Festival, Evolution e compagnia bella, dove l’unica cosa che ho fatto è stato attendere come un imbecille sotto il sole cocente a duecento metri dal palco mentre il solito manipolo di ritardati mi impediva di divertirmi, mi sento quasi male.

Tre giorni, due palchi (uno coperto e uno open-air), cinquanta (!) bands scaglionate temporalmente in modo che chi voleva potesse vederle TUTTE, i Big Teutonic Four del thrash riuniti per la prima volta dopo non so quanti anni, campeggio incluso nel prezzo, shuttle bus dalla stazione più vicina, e se prendevi il biglietto con un certo anticipo di regalavano anche la maglietta del festival! Numero di presenze relativamente contenuto, perché ormai ogni regione tedesca ha il suo metal open-air: il che significa che puoi vedere i Sabaton in terza fila presentandoti sotto al palco un quarto d’ora prima che inizino a suonare. E poi i miei amici si lamentano che parlo sempre bene della Germania! Una cronistoria dei tre giorni sarebbe sommamente inutile e noiosa; mi limiterò a dire due parole sulle dodici bands che, in questo oceano di professionalità, mi hanno convinto più delle altre. E sappiate che ci sarà anche un Beastival 2014, quindi cominciate a vedere su Google Maps dove si trova Geiselwind.

12. SCREAMER. Perché in un festival a prevalenza thrash/black ci vogliono anche i fraseggi NWOBHM e i solos sincronizzati di questi giovanissimi ma sorprendenti canadesi (che ho recensito sia QUI che QUI), che convincono una folla accorsa a Geiselwind per vedere tutt’altro: compito assolutamente non facile.

11. SATYRICON. Perché il black metal sinfonico e solenne dei norvegesi è quello che ci vuole per la freddissima serata di sabato: uno spettacolo glaciale, che sa di sconfinate distese di neve nell’oscurità più completa. Hanno convinto anche un vecchio defender come me!

10. KORPIKLAANI. Perché sotto la pioggia è difficile convincere dei tedeschi a ballare il tuo humppa polka metal, ma i simpatici finlandesi ci riescono lo stesso. Tanti cambi di formazione e una scaletta che forse lascia fuori troppi classici, ma è impossibile non scatenarsi. Let’s drink!

9. SABATON. Perché i soldati svedesi (QUI intanto me la prendo con “Carolus Rex”, tanto per gradire…) ti sanno far divertire, non c’è alcun dubbio. Joakim Brodén ha un continuo dialogo con il pubblico, lo stuzzica, lo insulta bonariamente, poi beve una birra e rutta, inizia uno strip-tease, lamenta di essere ingrassato, e intanto nel mezzo di un assolo sul palco passano correndo due grassoni nudi! Uno spettacolo che ti coinvolge a 360°. E allora perché non sono al primo posto di questa lista? Semplice: dal vivo hanno molti, molti difetti (sull’ultimo chorus di “Cliffs of Gallipoli” ho avuto quasi paura che il singer crollasse al suolo svenuto). Ma va bene così…

fotoxhatred8. HATRED. Perché questa band di casa (della quale mi sono occupato QUI) ha il difficile compito di aprire l’intero festival, giovedì alle 12.20: e lo risolve alla grande con il suo thrash classico e rombante. La gente, letteralmente, si materializza sotto il palco dal nulla, e ad animare il pogo sfrenato ci pensa lo stesso singer, che scende dal palco e incita alla battaglia. Mai vista una cosa del genere!

7. EX DEO. Perché i Kataklysm sono i Kataklysm, ma il mio animo epico vuole che Maurizio Iacono diventi l’imperatore di Roma! Invasato sul palco, più volte assorto in un atteggiamento sacrale, agita il cavo del microfono come se fosse la frusta con cui si diverte Caligola (QUI la recensione dell’ultimo disco), e gestisce con comandi secchi il wall of death che scatena in mezzo al pubblico. This is the Will of the Gods!

fotoxmajesty6. MAJESTY. Perché dove i Manowar hanno smesso di crederci, diventando la patetica ombra di sé stessi, i fedeli imitatori tedeschi ci credono ancora, e trasmettono questa fede al loro pubblico. Ho visto con i miei occhi, durante l’esecuzione di “Thunder Rider”, una disabile sollevarsi dalla sedia a rotelle, appoggiarsi a una transenna e fare headbanging fin quando le sue gambe hanno retto. Se esiste uno spirito del metal, cari miei, sarebbe stato lì in quel momento.

5. TANKARD. Perché sono l’unica thrash metal band che possa piacere a chi non ama il thrash (aehm… presente!): la verve goliardica e scanzonata di Gerre è contagiosa, e ben se ne accorge la fan peruviana invitata sul palco a ballare (e anche a farsi toccare il sedere, devo dire) in presenza del rotondo singer. QUI la nostra ultima recensione su di loro. We need another beeeeeeer!!!

fotoxgrandm4. GRAND MAGUS. Perché certo metal non muore mai (come dico anche QUI, nella recensione di “The Hunt”). Sono soltanto tre, appaiono anche abbastanza stanchi (forse per il viaggio o per il brutto tempo), ma il basso di Fox Skinner, la chitarra di JB Kristofferson e la batteria del nuovo arrivato Ludwig Witt riescono a creare tutta l’atmosfera epic/doom che serve. E il pubblico è letteralmente osannante. Remember to have an iron Will!

3. HEIDEVOLK. Perché sono il modo di fare pagan metal che ho sempre desiderato (ed ecco QUI la recensione di “Batavi”): niente eccessi black, due meravigliose voci pulite, e tutta l’energia dei popoli che sfidarono Roma e il Cristianesimo. Il coro di “Saksenland” viene cantato in ogni angolo della sala, la potenza dell’opener “Nehalennia” è devastante, e se alla fine tutti urlano “Ik bun Vulgaris Magistralis”, senza neanche capire cosa significhi, deve pur esserci un motivo!

fotoxwintersun2. WINTERSUN. Perché il boato che li accoglie alla loro apparizione è il riconoscimento per tutto il lavoro, per tutte le delusioni e per tutto il tempo perso (guarda caso, il nuovo disco si chiama “Time”… eccolo recensito QUI) in questi otto anni, quelli che separano il debut dal secondo album. Il ghigno felice di Jari Mäenpää, un tipo un po’ insignificante, con le spalle strette e il naso lungo, ma che appena mette le mani sulla chitarra diventa un dio di Asgard, è il segno che è giunto il tempo della meritata vittoria: e sentire “Sons of Winter and Stars” o “Battle against Time” venire giù dal palco del Beastival è puro godimento sonoro. Behold the Rain of Stars!

fotoxudo1. U.D.O. 61 anni e non sentirli. Il folletto Dirkschneider, vero idolo del pubblico germanico, ci regala uno show senza un attimo di pausa, nel quale riesce a far rientrare qualcosa come 15 brani in sessanta minuti (d’altronde lo sapevamo già che era bravo dal vivo, ecco QUI la recensione del “Live in Sofia”). Accanto agli ultimi anthem, come “Rev-Raptor”, “Leatherhead” o “Metal Machine”, ci sono ovviamente i classici degli Accept… e non credo di dovervi raccontare come i pilastri della Halle di Geiselwind tremino al coro di “Balls to the Wall”. Se arrivo all’età di Udo con un decimo della sua energia, della sua voce e delle sue capacità di showman intramontabile, potrò lo stesso essere l’idolo delle folle! Il segreto? Naturalmente avere un Metal Heart!

 

(Renato de Filippis)