(Atomic Fire Records) Cadono i colori, le origini, le razze, le lingue. I confini svaniscono e quelle mura che dividono crollano in mille pezzi. Però fa parte di un ciclo del mondo… un muro che prima cade, che poi si auto-ricostruisce per cadere di nuovo, forse, un giorno. Ocho Kalacas, otto teschi… la cosa che dopo la morte e la decomposizione ci rende tutti uguali, i belli ai brutti, i ricchi ai poveri, i bianchi ai neri; certo, la morte chiude ogni capitolo, elimina ogni differenza, abbatte ogni muro… ma prima? Prima di quel fatidico giorno? Sono californiani, bazzicano nella California vera, quella con la gente che vive sotto i ponti, molto lontano dall’immaginario della spiaggia da surf popolata da muscoli e pollastre. La California: dove le culture e le lingue si mescolano, nel bene e nel male… dove tutto si reinventa, un immenso frullatore culturale che in questo caso ha scatenato l’energia di questa band giunta al terzo album, questo incrocio tra metal e fiati, tra ska e hardcore, tra Brujeria e Russkaja, con testi in spagnolo, testi in inglese, testi sociali, testi che parlano del marciume, dei sogni infranti, delle ingiustizie umane. Qui nessuno canta di cavalieri gloriosi, di demoni dell’inferno, di macchine veloci o feste ad oltranza… perché nella merda della vita vera, nell’incubo dell’immigrato che cerca un lavoro, nelle botte che prende la persona sottomessa, nell’emarginazione del discriminato o nell’agonia di quello che crepa per overdose in un angolo buio della periferia… in queste scene non c’è gloria, non c’è forza, non c’è sfarzo e non c’è divertimento. C’è solo lo schifo, uno schifo creato dall’uomo contro l’uomo… l’uomo che per natura odia, uccide, tradisce, infligge, divide, respinge. E quello schifo, spesso, è marcato dalle ‘frontiere’. Frontiere territoriali, frontiere sociali, frontiere culturali, frontiere economiche, frontiere razziali, frontiere sessiste. Tutto un ammasso di orribili frontiere create dall’uomo, non di certo dalla natura la quale non fa differenze e non fa preferenze. In questo mondo ingiusto gli 8 Kalacas sferzano l’etere con riff poderosi, con fiati sconvolgenti, con ritmiche hardcore, groove metal; thrash metal e poi ska, tanto ska, con quei fiati che urlano, quelle chitarre che assaltano. Mariachi_metal e cumbia-death metal, tromboni tanto thrash quanto quel contro tempo ska della batteria, il quale ti fa urlare, ti fa ballare e ti fa pogare. Scream, growl e voci fuori di cranio. Le frontiere purtroppo esistono ancora, ma dentro questi dodici brani sono state completamente distrutte!

(Luca Zakk) Voto: 10/10