(Napalm Records) Possente. Poderoso. Tuonante. Ed infinitamente malinconico, una malinconia pregna di disperazione espressa da growl penetrante di Jaakko Mäntymaa! È il quarto album dei finlandesi Marianas Rest, una sintesi di tristezza, di gelo, di panorami desolati dal brutale e crudele inverno, di perfezione stilistica ormai al livello di massima creatività. È inutile cercare di classificare questa band nel death o nel doom, perché a questo punto il loro stile va oltre, risultando identificativo, personale, unico, la sintesi dei momenti tetri della vita qui dipinti con poetica fantasia, una colossale espressione sonora alla quale è impossibile resistere. Graffiante la title track, teatrale, ipnotica, suggestiva… irresistibilmente melodica. Ma è solo un (lungo) antipasto, in quanto la pesantissima “Diseased” alza il tiro, aggrava l’atmosfera, conducendo verso la parte più intensa e poetica del disco, rappresentata da una sequenza di capolavori: “Light Reveals Our Wounds” che è la rappresentazione del lato maligno e perverso della malinconia, “White Cradle” che vuole inoltrarsi in una dimensione onirica, ricchissima di atmosfera dalla quale emergono delle sublimi clean vocals. Immensamente straziante “The Ground Still Burns”, incalzante “Fear Travels Fast”, lacerante ed infinitamente poetica “The Hanging Blade”, un brano che emozionalmente si avvicina -quando non supera- ai migliori Sólstafir. In chiusura la dolcezza della favolosa “Sirens” un brano incantevole che ospita il talento di Aaron Stainthorpe dei My Dying Bride. Un viaggio profondo dentro l’essenza della bellezza dell’inquietudine. Ad un decennio dalla formazione, il sestetto finnico sottolinea l’infinita storia che vede la contrapposizione tra luce e tenebre, l’abituale ripetizione degli errori umani, di quella spirale discendente senza una fine apparente, attraverso apocalissi che si accavallano, la fine di tutto che insegue se stessa dando tuttavia i natali ad una decadente e sublime forma di bellezza, la magnificenza di uno sconfinato declino. Velenoso, devoto ad una oscura fine, all’epilogo della speranza, della luce, della vita stessa. “Auer” non è un album qualsiasi, è la rappresentazione musicale di una eclissi senza fine, è la scultura sonora della definizione filosofica, spirituale, delle tenebre!

(Luca Zakk) Voto: 10/10