(Stickman Records) È noto quanto i Motorpsycho siano stati capaci dagli anni ’90 ad oggi, ad attraversare un ampio spettro di stili musicali nei loro album. La band norvegese in certi momenti è stata concettualmente rivoluzionaria o semplicemente ardita, pur avendo come tutte le band e musicisti di questo mondo dei momenti anche non proprio felici. Il nome Motorpsycho è divenuto un’istituzione nell’ambito di quel rock che vuole uscire dall’ordinario. Da un po’ il trio norvegese si è impantanato nel rock progressivo di stampo anni ’70, con assonanza sia nel cantare, sia nel suonare linee ritmiche, fraseggi e atmosfere alla scuola King Crimson. “Ancient Astronauts” è composto da quattro composizioni che risultano fresche, agili, dalle sonorità che vorrebbero riprendere quelle del decennio. Ad ogni modo la resa sonora di “Ancient Astronauts”, album suonato quasi del tutto dal vivo in studio pur con qualche sovraincisione, è eccellente e non si vuole andare a cercare l’increspatura oppure fare chissà quali disquisizioni. Sullo stile esposto dalla band c’è forse più di un argomento da trattare. “The Ladder” di 6’44’’, di “The Flower Of Awareness” di 2’14’, “Mona Lisa Azrael” di 12’15’’ e infine “Chariot Of The Sun – To Phaeton On The Occasion Of Sunrise (Theme From An Imagined Movie)” di 22’22’’, compongono il quartetto. L’iniziale “The Ladder” è andante, fluida e con un retaggio prog ben evidente e con una struttura ben definita, è divisa dal resto dell’album da un lungo intermezzo, appunto “The Flower Of Awareness” che vede un suono gonfiarsi pian piano, ammantato da una sorta di gong che emerge a stento piatto e continuo. È appunto una parentesi che vuole proiettare l’ascoltatore vero in un altro mondo nel quale emerge “Mona Lisa Azrael” che con la sua melodia tenue e delicata alla tastiera – un mellotron? – vede poi l’emergere vocale che ricalca la soffice ed educata voce di Greg Lake come nella migliore tradizione dei King Crimson dei primi due album. Non si dovrebbe procedere per confronti in una recensione, eppure le similitudini quando sono marcate e prepotenti, magari anche volute, a cosa serve tenersele dentro? Il resto del pezzo è una furiosa e a tratti lisergica, strutturata cavalcata con i suoi echi di rock anc he alla West Coast che svelano una band comunque padrone delle emozioni e atmosfere che vuole tratteggiare. Oltre 12’ di maestria, in definitiva lo si può affermare. La suite, almeno quella più lunga e cospicua quanto le altre due composizioni, è un’altra alternanza di stile all’interno di un prog rock con momenti romantici, echi dei King Crimson, del rock psichedelico e krautrock. Dunque anche una suite con un tratto anche cosmico, spaziale che nel suo terzo finale indugia su un giro melodico che sminuisce il peso, la consistenza della suite. La scelta di eseguire delle suite assurte a delle jam levigate e con una propria elaborazione, fino a sembrare una capsula temporale del prog, lascia qualche perplessità. La band suona bene, le melodie sono gentili e altre visionarie, ma questo album stupisce più per le sue rifiniture che per una sostanza generale concreta. Questo è un prog di maniera, l’ultima composizione lo è di fatto, agghindato con una veste old style e per essere tale.

(Alberto Vitale) Voto: s.v.