(Ripple Music) Questi mostri spaventosi di Detroit si presentano con il terzo album in carriera, nel quale esibiscono un doom-stoner dalle forti tinte nere. Non è difficile pensare a una sorta di black metal dalle finiture occasionalmente lisergiche o almeno doomeggianti in più scorci di “Apotheosis”. La voce è quella di Noah Bruner, anche chitarrista, che sostanzialmente emette un harsh al vetriolo e alternando anche qualche linea in vocalità chiara. Proprio la sei corde di Bruner imbastisce questo miscuglio di riff tra doom, distorsioni fragorose infarcite di fuzz che vanno da un noise-stoner corrosivo a un black-doom metal. Un turbinio di distorsioni che prendono la scena ed edificano un’atmosfera a tratti come un cerimoniale occulto e sulfureo. Compito poi della batteria di Taylor Christian e coadiuvato dal basso di Joe Peet, a rivestire ulteriore oscurità o di moti improvvisi e possenti queste composizioni che vibrano di Black Sabbath traslati su un piano chiassoso, meno fine e imbastardito da visioni demoniache in acido. Tutto questo caos elettrico dei Temple Of The Fuzz Witch è per un concept esoterico, ovviamente, forse anche spirituale, certamente è una larga visione nella quale idee e concetti si fondono con una musica che sa essere dimessa e funerea oppure irruenta – sono presenti anche dei blast beat! – ma continuamente in trance al centro di un cerchio con tanto di pentacolo e candele lungo il diametro tra i vari amplificatori e pedali. La formazione di Detroit inietta in “Apotheosis” più soluzioni e vestendole tutte con la stessa tinta elettrica che produce suoni sferraglianti. Tutto per una una visione estrema ma accattivante, sia del doom, dello stoner e di una esaltante libertà metal.

(Alberto Vitale) Voto: 9/10