(Debemur Morti Productions) Scelgono una strada facile che poi con loro, i The Amenta, facile non lo è mai, cioè pubblicare un album di cover. La band australiana che si esprime attraverso sonorità elaborate, soffocanti, folli, sperimentali, pubblica un album con dieci pezzi e dei quali solo due sono farina del proprio sacco. A onor del vero anche gli altri otto pezzi sono comunque il frutto della loro disturbata creatività, perché scorgere Diamanda Galas, i My Dying Bride e Alice In Chains in certe rivisitazioni non è del tutto assodato. Per gli altri autori ancora non menzionati è quasi la stessa cosa. L’intro e la title track sono i pezzi firmati al cento per cento da The Amenta. “Sono L’Anticristo” di Diamanda Galas apre, dopo l’intro all’album, nel quale industrial, death metal e altre forme estreme e non, come crust e noise, creano un mondo oscuro, claustrofobico e malsano. Seguono “Asteroid” dei Killing Joke, punkeggiante, “Angry Chair” degli Alice In Chains in veste semi-psichedelica, poi la title track che diventa un industrial/death metal istrionico e dinamico. “A Million Years” di Wolf Eyes è una rilettura che riesce a tenere in piedi la stessa atmosfera della noise band di Detroit. I compaesani dei The Amenta, Lord Kaos, sono omaggiati con la deflagrante e satura di blast beat “Crystal Lakes”. Altra band australiana gli Halo di evidente vicinanza concettuale dal punto di vista musicale con i The Amenta, la quale viene tirata in ballo con il rifacimento di “Rise”. Un misto tra industrial e noise debordante e saturo. Ancora australiani ripresi dai The Amenta sono i Nazxul, anche loro dediti al black metal e rilanciati con la cover di “Totem”. “Black God” dei My Dying Bride chiude questo quinto capitolo della discografia in studio della band australiana. Succede con una versione  quasi cinematic, un po’ da colonna sonora a metà tra videogame e film. Una rilettura personale, affatto trascurabile perché sia poetica quanto alienante.

(Alberto Vitale) Voto: 7/10