Che serata! Tra l’altro iniziata in modo ancor più tradizionale del metal classico che si sarebbe susseguito sul palcoscenico. Dopo la fugace, scomoda e poco appagante cena (dei panini) in auto, guidando, lungo l’autostrada per arrivare in tempo all’evento della sera prima (leggi qui), questa volta decidiamo di prenderci del tempo, di coccolarci… dopotutto è sabato sera, giusto?

Dopo anni di concerti assistiti all’Alchemica, mangiando schifezze poco salutari nei dintorni, scopriamo che a soli 100 metri dal locale c’è questo noto ristorante “Polpette e Crescentine”… un posto che già dal nome svela un perfetto programma di pre-concerto in terra Emiliano-Romagnola!

Se in cartellone, alla venue, era previsto del metallo pesante, vi posso garantire che al ristorante la leggerezza non era di casa… e viste le combinazioni del menù o le irresistibili quanto obbligatorie scelte, rispondo ad un messaggio del direttore -il quale da buon padre della famiglia di disadattati quali siamo noi reporter sul campo, si informava sull’andamento della serata- con un laconico “Non rompere! Siamo ancora a cena! E qui, ad ogni tigella servita… un vegano lì fuori muore!”

Ma torniamo al titolo. Diavolo, è davvero una lotta per restare in vita. Non quella al tavolo del ristorante (beh, un po’ si)… ma quella della vita reale, quella quotidiana. Lo cantano proprio i Tygers of Pan Tang nel brano “Only the Brave” (dall’album omonimo del 2016, recensione qui) il quale recita: ‘Vivere al limite – tra il buio e la luce… Brama di vendetta – è una lotta per rimanere in vita”.

Pensate che il mio tono abbia del drammatico? Di fatto il vero il dramma l’ha vissuto per davvero la musica negli ultimi due o tre anni, l’intera scena ha sofferto, la stessa industria dell’intrattenimento, tanto che anche le date italiane della mitica band inglese hanno subito innumerevoli rinvii: dovevano tenersi a marzo, ma prima ancora avrebbero dovuto tenersi… diavolo quanti rinvii… a memoria credo c’era un impossibile aprile 2020, poi un improbabile ottobre 2020… e poi credo di aver perso il conto.

Quindi si, davvero, è stata una dura lotta per rimanere in vita… lotta combattuta dalle bands e pure dalle sale concerto… ma possiamo festeggiarne la vittoria, visto che ho trovato un Alchemica Club uguale a quello che avevo lasciato tre anni fa, a fine 2019 quando suonarono i francesi Nocturnal Depression (qui)! Complimenti ragazzi!

Imperterriti, duri a morire, finalmente a tre anni dalla pubblicazione dell’ultimo full length “Ritual” (recensione qui), la band di Robb Weir è riuscita a portare in tour questo ‘nuovo’ disco, passando anche per l’Italia: povero questo grandioso disco… il suo momento di meritata fama si è di fatto dissolto nel tempo trascorso, dall’ombra del nuovo EP (qui) e da un ulteriore album, visto che Robb stesso mi ha confidato che ci sarà il nuovo disco e un altro giro per la penisola nell’imminente 23° anno del terzo millennio, portando avanti la storia di questa band in circolazione dal 1978!

La band condannata all’apertura della serata è solitamente quella più sfigata, quella che si becca tutto il suono peggiore, le luci scadenti ed una affluenza scarsa. Affluenza non brillante a parte (ma non vi mancavano disperatamente i concerti durante i vari ridicoli lock down?), tutto il resto è stato smentito da questi favolosi Sons Of Thunder, band italiana travolgente, tra metal e rock, tra blues e hard rock ed uno sguardo ai ZZ Top, una band che ha riempito il palco dell’Alchemica con due voci e ben tre chitarre! Il suono? Travolgente, anche grazie all’abile fonica che ha gestito tutta la serata… luci comprese.

Davvero travolgenti questi Sons Of Thunder, tuonanti, divertenti, belli da vedere, micidiali da ascoltare… avete presente quando c’è quel pubblico moscio, annoiato o introspettivo? Ecco… I Sons of Thunder sono la medicina giusta, perché il loro spettacolo non prende prigionieri: uno schiacciasassi sonoro esplosivo!

Foto: Monica Furiani Photography

Con l’Alchemica già caldo, troppo caldo, dopo i figli del tuono salgono sul palco i mitici Angel Martyr, con il loro heavy speed che inneggia al grande metal della storia, senza scadenti modernismi, senza tanti fronzoli o delicatezza: borchie, pelle e volume a manetta! Una band che rappresenta una certezza in questo mondo debole e senza riferimenti… un esempio da seguire, un modello da imitare, sia per quanto riguarda l’atteggiamento, che l’esibizione sul palco, che la dedizione e, non ultima, quella meravigliosa ed inossidabile tendenza old school che non dimentica i grandi, visto che non hanno mancato di tributare anche il leggendario Mark Shelton.

Foto: Monica Furiani Photography

E le tigri? Non li vedevo da qualche anno, un bassista ed un chitarrista fa. Ma Robb & co. continuano a non sbagliare un colpo! Il nuovo bassista Huw Holding sostituisce perfettamente il precedente, sia come immagine sul palco che come tecnica e potenza esecutiva… perché ricordiamocelo, anche se non lo sentite bene, senza il basso tutto il resto perde di significato! E il chitarrista? Beh, è Francesco Marras, un virtuoso italiano (qui il suo ultimo album solista) che sul palco prende perfettamente il posto del precedente Micky Crystal… anzi forse esteticamente un po’ gli assomiglia (musicalmente invece il passo avanti è enorme)… quasi come se la band fosse sempre alla ricerca di un chitarrista bravo che piaccia alle donne del pubblico (non sto scherzando… fu il frontman Jacopo a definire il precedente axe man ‘bocconcino delle fans’ in occasione di un concerto nel 2017… leggete qui)!

Mi diverte pensare, fantasticare sul dietro le quinte. Un giorno Micky molla e Robb si incontra con Jacopo per discutere la faccenda. Mi immagino Jacopo esclamare, anzi tuonare: ‘io ho quello giusto!’. Ed ecco che i due quinti della band inglese sono italiani. Forse aveva anche un bassista, ma sarà una cartuccia che tiene da parte per la prossima volta. E il giorno che Robb si rompe le palle di suonare? Aiuto! Speriamo tenga duro per molti anni a venire, altrimenti qui andremo incontro ad una crisi diplomatica, con l’Italia comandata dal generale Meille che invade il dannato Regno Unito!

Ma il concerto?

Tygers of Pan Tang a palla! Con una potenza sonora micidiale, con un vocalist sempre più in forma (diavolo! che ugola!), con i nuovi membri che sembrano in formazione da decenni tanto si sono integrati… con un Robb che rifiuta di invecchiare… ed ecco che la band spara una serie di micidiali proiettili esplosivi! Tra i pezzi recenti non mancano la favolosa “Destiny”, la sfacciata “White Lines” (purtroppo suonata a Bologna… Jacopo ha dichiarato che suonare questo brano che parla di cocaina a Milano è sempre un’esperienza…. mistica!), la nuovissima “A New Heartbeat” e la scatenata “Only the Brave”.

E tra i classici? Non sono mancate “Fireclown” e la divertente “Don’t Touch Me There” da “Wild Cat”, e nemmeno “Love Don’t Stay” o la mitica “Raised on Rock” da “Crazy Nights”. E non ci siamo fatti mancare nemmeno la leggendaria “Hellbound” da “Spellbound”!

Che band! Tanto grandiosa quanto alla mano, con tutti i membri che quasi religiosamente escono velocemente tra il pubblico dopo il concerto, per parlare, per incontrare, per sentirsi vicini ai loro fans, concedendosi a foto, autografi.

E Robb è sempre il primo ad uscire. Il primo che cerca il contatto con la sua gente. Un uomo, un artista, che rappresenta senza dubbio un simbolo dell’heavy metal, un pilastro del NWOBHM. Un musicista che potrebbe tranquillamente atteggiarsi a rockstar irraggiungibile, visto che è in circolazione dal 1978, da quasi 45 anni, quando fondò con Jess Cox, Richard Laws e Brian Dick la prima incarnazione dei Tygres of Pan Tang, una band leggendaria che si rifiuta di rallentare, di prendersi pause o di pensare a qualche noioso farewell tour. No, i Tygers sono attivi come non mai: album, tour, album, tour. E poi ancora.

C’è una strofa dell’ultimo brano pubblicato, “A New Heartbeat” (dall’EP che porta lo stesso titolo), che quasi vuole rappresentare una dichiarazione di intenti: “A game without end. You can’t log out my dear friend.

You’re part of it no matter what you think I guess”. Quasi autobiografico, non trovate? Perché questo favoloso gioco dura da oltre quattro decenni e davvero sembra non aver mai fine!

Un gioco immenso che vede una band attiva dal vivo da qualche parte quasi ogni sera… e quando non sale sul palco si rinchiude in studio per registrare qualcosa di nuovo.

E tu? Hai il coraggio di giocare? I Tygers of Pan Tang ti stanno aspettando!

Foto: Monica Furiani Photography

(Luca Zakk)