(Avantgarde Music) Contorti ed ultra tecnici. Gli italiani Ad Nauseam nacquero come band death metal (Death Heaven) ma presto cambiarono direzione e presero una strada tortuosa, stretta, buia, evolvendo infinitamente a livello compositivo e tecnico, tanto da dover cambiare moniker. Quell’evoluzione si concretizzò sei anni fa con il debutto “Nihil Quam Vacuitas Ordinatum Est”, ma è con questo nuovo lavoro che rivelano la loro inconsueta e deviata espressione musicale, la quale influisce in ogni dettaglio celato dietro l’album stesso. Tanto per cominciare, la band è completamente auto prodotta: scrivono, compongono, arrangiano e registrano senza l’ausilio di tecnici o studi di registrazioni. Ma non è tutto: costruiscono ogni equipaggiamento elettrico ed elettronico utilizzato per la registrazione, parti degli strumenti comprese, questo per cercare di riportare sulla registrazione il vero suono degli strumenti e non il filtraggio dato dai tipici dispositivi presenti in uno studio. Solo gli Ad Nauseam sono in grado di far suonare questo disco come le loro menti l’hanno concepito… nessuno tecnico, produttore e addetto potrà mai avvicinarsi ad un suono cosi poderoso e travolgente. Poi, questo lavoro, oltre che tecnologico è anche ambientale, in quanto la band cerca in maniera disperata un suono puro dalla fonte, evitando equalizzatori e compressori vari, impegnandosi oltre ogni limite nel catturare i suoni in maniera trasparente e realistica. Tutta questa fatica, oltre che trasformarsi in tempistiche lunghe (non solo sono passati sei anni dal precedente lavoro, ma anche quel disco all’epoca richiese cinque anni di impegno intenso), esplode in un metal estremo complicatamente avant-garde. Non si può parlare di black metal, il quale è comunque presente, non si può parlare di death, anche se la radice è palese… si può piuttosto parlare di una intricata rete sonora nel quale i suddetti generi estremi vengono spinti al limite e fusi con altra musica, con l’ambient, il jazz, anche lo sludge… e forse anche la musica classica più particolare, il tutto dando vita ad un muro sonoro complesso, molto poco amichevole, orientato all’insieme dei dettagli piuttosto che alle normali canzoni con una tipica progressione. È molto anticonformista questo approccio, tanto che i brani sono molto ermetici, di difficile comprensione, ben lontani dall’essere catchy: ci sono sezioni di un tipo, sezioni di un altro, sezioni accattivanti, sezioni che mandano in crisi il cervello… ma tutto questo turbinio di suoni è concepito con freddo cinismo, messo insieme con crudele genialità, con cura, con maestria e con una indiscutibile capacità tecnica di ogni membro della band. Un album molto poco civile, un album che richiede da parte dell’ascoltatore un livello di impegno molto vicino a quello impiegato dalla band per arrivare a questo risultato. Un disco del genere è la negazione della musica per molti, l’opposto della musica commerciale, un album che non può essere goduto se non con una altissima qualità del suono, tanto che è sconsigliabile ascoltarlo con quei vari effimeri servizi di streaming, cosa che dematerializza e rende di contorno una frangia della musica che qui esige essere in primo piano. “Imperative Imperceptible Impulse” pretende attenzione. Vuole essere analizzata. Necessita di un numero infinito di ascolti. Esige purezza di spirito, apertura mentale ed un’elevata intelligenza musicale. Un album per pochi meritevoli eletti, i quali potranno godere di piaceri non facilmente spiegabili ai comuni mortali.

(Luca Zakk) Voto: 9/10