(AFM Records) Dopo l’EP riempitivo “Bloodheads United”, i Bloodbound tornano sul mercato con il proprio nono album, che nulla aggiunge e nulla toglie rispetto al precedente “Rise of the Dragon Empire”. Ho raccontato la storia dell’evoluzione musicale della band QUI, e sembra che ormai gli svedesi abbiano trovato la propria collocazione… Dopo un brevissimo preludio, la titletrack mostra come i Bloodbound vogliano, ormai, proporsi come dei Sabaton più melodici (gli stili vocali di Joakim Broden e Patrik J. Selleby sono decisamente diversi), con un sound talora corretto dalle tendenze pop/dance alla Beast in Black (basta ascoltare le tastiere per rendersene conto…)… c’è sicuramente di peggio al mondo, ma l’insieme suona pacchiano e plastificato. Ancora più boombastica e zuccherosa “When Fate is calling”, mentre la trionfale “Ever burning Flame” presenta timide tendenze power/folk. La stessa cosa accade, sempre funzionando bene, in “Kill or be killed” e nella conclusiva “The Wicked and the Weak”: molto meglio questo che il ‘dance metal’ o quello che sia… “Eyes come alive” rasenta il plagio delle cose di “Carolus Rex” dei Sabaton, cosa che fa anche “March into War”; il disco si riscatta con il genuino e squillante power doppiocassato di “Death will lead the Way”, e con “The Gargoyles Gate”, che ha la cristallina pomposità dei Rhapsody che furono. “Creatures of the dark Realm” riprende due/tre canovacci e li sviluppa con mestiere e furbizia: è un giudizio che credo possa adattarsi a tantissimi dischi non eccelsi, ma neanche malriusciti.

(René Urkus) Voto: 7/10