(Parlophone) E quando cominci la recensione scrivendo il nome del gruppo, se il nome sono quelle due parole, un po’ la lacrimuccia scende… sì, perché si parla del gruppo che ti ha aperto un mondo musicale e un mondo di amicizie, di emozioni e sensazioni. Un mondo fatto di collezionismo, di ricerca negli angoli meno battuti dei negozi per scoprire gemme nascoste o chissà quale genere di edizione limitata. Ho sempre adorato gli Iron, più per una questione biografica che per la reale capacità tecnica dei nostri, ben lungi da essere comunque dei novellini agli strumenti. Ma bando alle ciance, ecco il nuovo degli Iron, appunto… E chi se lo aspettava un doppio disco, un’altra volta? Si potrebbe spendere tomi di righe per capire se sono meglio i dischi vecchi o questo loro nuovo corso, ma dobbiamo per forza scegliere? Io personalmente adoro ogni singola nota della Vergine di Ferro, dal primo all’ultimo album, e non certo per partito preso. Sarei il primo a criticare un brano che non mi andasse giù; ma, sfortuna mia, non ne ho trovati, ad oggi, nella loro discografia, di brani simili. Quindi, a mio personalissimo avviso, ci sono gli Iron di “Seventh Son…” E quelli di “Senjustu”. Ad oggi il loro ultimo lavoro resta per me la loro pubblicazione più complessa, difficile e ambiziosa della loro carriera, ma questo è il bello degli Iron, osare dove altri varcano il giaciglio sicuro della musica basata essenzialmente solo su riff e non sugli accordi (Metallica su tutti, con risultati alterni, infatti…). “Brave New World”, “Book Of Souls”, “The X Factor”… questi sono gli ingredienti principali del nuovo lavoro, in cui 10 tracce spaziano dalla manciata di minuti a quasi un quarto d’ora, mostrando a tutti che, in effetti, non è che Harris e soci non son più capaci di proporre pezzi da radio, semplicemente non lo vogliono più fare… e come dar loro torto? Ancora una volta, se si vuole gli Iron vecchi ci si vada ad ascoltare i vecchi album, semplice, no? Le tracce, si diceva… I rimandi al loro decimo lavoro si fanno sentire eccome, soprattutto nella solennità di certi giri di basso e in alcune atmosfere cupe; anche se il paragone si conclude qui. Eppure ci si ritrova piacevolmente colpiti dal fatto che da “Brave New World” i. nostri hanno avuto una costante e indomabile forza evolutiva, coerente e pacata, in grado di arricchire la loro discografia di sfide musicali sempre nuove e appaganti, per loro quanto per gli ascoltatori. La produzione? Bisogna aprire una parentesi: gli Iron registrano i loro lavori quasi in presa diretta (anzi, “A Matter Of Life And Death” è stato registrato suonando le tracce tutti assieme. Chi lo fa più?), con buona pace di chi non vuole sentire piccoli errori da parte del musicista di turno. Il fatto è questo, semplicemente siamo di fronte ad un modo di concepire la produzione che ormai hanno probabilmente solo loro. Magari anacronistico, magari antiquato… ma è il loro modo di concepire la produzione. Un consiglio, a tal proposito: ascoltatevi il vinile. Cambierete idea sull’intero album, ve lo dico dopo aver ascoltato entrambe le versioni. Insomma, io sono uno che premia la coerenza, sempre, al di là di tutto. E gli Iron sono la coerenza del Metal. Punto.

(Enrico MEDOACUS) Voto: 10/10