copthemeadsofa(Candlelight Records) I The Meads Of Asphodel sono una delle band più assurde che popolano la scena metal. Personalmente ritengo che in fondo siano brillanti, nonostante “The Murder of Jesus the Jew” si sia preso da me (l’unico?) quattro. Contraddizione? Forse, ma è la band di inglese ad esserlo costantemente, nella sua ormai già cospicua produzione discografica. I The Meads Of Asphodel sono la tipica band che infonde nel proprio comporre molteplici elementi, sonori, stilistici, concettuali, ma talmente tanti da scadere a volte in un pessimo gusto. Il troppo che storpia, non so se è chiaro. La mia considerazione verso queste “capocce” non è minima, eppure c’è sempre qualcosa che fa saltare letteralmente tutto all’aria. “Sonderkommando” è un concept nato dopo una visita ad Auschwitz del cantante Matatron, il quale ha pensato di scrivere una storia attraverso gli occhi di un aiutante ebreo (appunto un Sonderkommando, termine però che venne impiegato anche per un altro scopo non meno atroce) dei carnefici nazisti della razza ebraica durante la Seconda Guerra Mondiale. La musica è una metamorfosi attraverso il death metal, il black metal, rock e altri generi meno convenzionali come soluzioni che potrebbero benissimo ricordare un musical, e poi c’è l’uso dell’elettronica, il ricorso ai sampler, al sassofono, alle tastiere anche di tipo vintage e altre idee ancora. Da segnalare che la band si è separata dallo storico batterista Urakbarameel (finito nei Daken) e che anche questa volta ospita alcuni personaggi più o meno noti, tra i quali Mories di Gnaw their Tongues e Rob ‘The Baron’ Miller, Amebix. A conti fatti ho l’impressione che se “The Murder of Jesus the Jew” aveva troppa carne al fuoco, questo “Sonderkommando” non solo si comporta allo stesso modo, ma sembra meno istrionico rispetto al precedente album, quasi cerchi di essere più lineare, compositivamente parlando. Quello che non si capisce è perché la band continui ad incidere lavori che sembrano soffrire di una cappa che grava su tutto, come se tra i loro amplificatori e microfoni e il supporto di registrazione vi sia qualcosa, una barriera che ovatta tutto quanto. Voglio essere sincero, come sempre, i The Meads Of Asphodel mi fanno solo arrabbiare perché sembrano quegli scolari di cui i professori dicono “bravi, ma non si applicano” o quei calciatori pieni di talento ma indisciplinati. Lungi da me dal voler fare il professore, e il tecnico di calcio, ma non capisco come una band che ha in formazione Alan Davey al basso (uno che ha suonato e non poco con gli Hawkwind), che chiama spesso Mirai Kawashima e le sue tastiere (è dei Sigh, altra band di funamboli), che collaborò, anche se per un paio di canzoni, col compianto Huw Lloyd Langton (uno degli ultimi grandi chitarristi dell’epopea rock britannica, Hawkwind anche lui), livelli in tal modo e continuamente il proprio sound. Alla bizzarria compositiva ci ho fatto il callo, anzi ritengo siano tra i pochi a potersi permettere certe cose perché realmente vanno oltre gli schemi, è anche vero però che riescono ad eccedere (come nel minutaggio totale, stavolta ben oltre un’ora) e a guastare il tutto. Il pessimo gusto, appunto, come quello che vede la band proporsi in foto promozionali vestiti da cavalieri medioevali. Insignificanti, rispetto alle tematiche di questo album, oppure di presentare un copertina visivamente esplicita e legata al concept, ma graficamente orribile, anche se dipinta dall’artista Aisha Al-Sadie (mi scuso con lei per il mio giudizio, ma ha realizzato di meglio). Per me i The Meads Of Asphodel sono un insieme di luci ed ombre e sono giunto ormai all’idea che non si possono valutare con un semplice e sintetico numero.

(Alberto Vitale) Voto: s.v.