copvidharr(Maa Produnctions – Zero Dimensional Records) Sono sconvolto. Adoro esserlo. Ogni giorno mi arriva materiale da valutare. Spesso mi arrivano bands blasonate, che mi deludono. Oppure mi arrivano bands underground, sconosciute, che mi sorprendono. Mi sconvolgono. E’ triste, ma molti di questi sconosciuti vengono trattati con superficialità dalla stampa. Molto spesso circolano recensioni che sono frutto della copia di informazioni contenute  nel press kit, con un giudizio artistico scaturito ascoltando mezza canzone a caso. Io mi definisco meticoloso. Tutto il materiale che mi viene sottoposto lo esamino con cura, evitando pregiudizi. Questa mia caratteristica mi permette di tradurre l’informazione “black metal da Roma” in un’esperienza personale unica, perversa, malata. Così oscuramente piacevole. I Vidharr non li conoscevo (lo dico sempre: non posso conoscere tutti). So che facevano del doom, che hanno una stabilità nella line up che ricorda una telenovela sudamericana, so che fanno del black. Tutte informazioni inutili contenute nelle solite press kit superficiali, capaci di sintetizzare la telenovela senza spiegare quale orrore mentale la band sia riuscita ad iniettare nella musica dell’album proposto. Però esistono casi particolari: I Vidharr. I Vidharr non hanno bisogno di parole. Non servono le presentazioni. Le premesse, i preamboli. Tutte stronzate, tutte parole morte da far leggere ad occhi defunti. I Vidharr sono una band che riesce ad esprimere tutto con la musica. E solo con la musica. E mentre ascolto pezzi come la title track capisco che la loro forza è veramente quella di creare musica completa, musica avvolgente. Musica che non necessità di presentazioni, di fotografie della band.  Quando la perversione del main riff di “Bolide” ti penetra nella  mente come un flagrum nella carne, ci si rende conto che non importa conoscere i dettagli della band, la provenienza della band, il pensiero della band. Tutte chiacchiere che vengono spazzate via dall’imponenza sonora della seconda parte di pezzi come “Cryo”, grazie a quel riff ipnotico, deviante, porta verso altre dimensioni della coscienza. Chiacchiere estinte dalla compattezza compositiva. Black sublime, mai troppo estremo, mai sinfonico. Black intelligente, sostanzialmente semplice ma maledettamente efficace, diretto. Subdolo. Suoni ed atmosfere che si insinuano nel subconscio dell’ascoltatore, provocando dipendenza, assuefazione. Bisogno. Geniale la scelta di inserire in un contesto epico e maestoso estratti tratti da pellicole di Ingmar Bergman (“Il Posto Delle Fragole”, 1957, titolo originale “Smultronstället”, e “Il Settimo Sigillo”, 1957, titolo originale “Det sjunde inseglet”). Samples In Italiano. Premesso che odio i film doppiati, devo riconoscere che lo stile degli anni ’50 era diverso. I doppiatori recitavano con una certa enfasi oggi caduta nell’oblio. Ed i pezzi presi in prestito dai Vidharr  per “Rust” e “Cryo” sono semplicemente stupendi. Angoscianti. Inseriti in musica colossale, lacerante. Mortale. Un album bellissimo. Forse troppo corto (sei tracce, per un totale di meno di quaranta minuti… senza contare una cover degli Eyehategod che reputo totalmente inutile e decisamente incompatibile con l’atmosfera tetra e decadente costituita, con sapienza, dalla struttura di questo album). Corto o meno, rimane decisamente qualcosa di imperdibile. Lavoro pieno di dettagli, di esperienze. Di emozioni. Probabilmente la cosa più vicina al remake musicale in chiave black dello stile cinematografico di Bergman. Concetti sonori elevati a poesia, atmosfere musicali rese teatrali. Un disco psicologico. Un disco portatore di mortali presagi e nebbiosa decadenza. Forse proprio il disco che ti rivela quell’incomprensibile verità, il disco che ti annuncia che sei “morto pur essendo vivo”.

(Luca Zakk) Voto: 8,5/10