(Universal) Sapete cosa penso? Che i Volbeat non sono in grado di fare musica nuova, ma la musica che creano continua ad essere maledettamente efficiente e vergognosamente fenomenale! Davvero, è molto difficile rispondere alla tipica domanda ‘cosa fanno i Volbeat?’, visto che hanno sempre fatto quel che gli piace, come gli piace, attingendo palesemente e combinando con maestria da rock, metal, thrash, death, punk e forse un’altra mezza dozzina di generi sparsi… che loro riescono a far convergere in brani potenti, travolgenti e quasi sempre dannatamente catchy (e non a caso qualche premio lo hanno vinto in carriera). La voce della mente della band, Michael Poulsen, sembrerebbe non c’entrare molto con un genere spesso aggressivo… ma chi la pensa in questo modo ha memoria corta… non ricorda le origini, il passato, l’epoca nella quale il growl non era ancora la voce dei generi pesanti… (per esempio chi se li ricorda i Depressive Age?). Bene, ed ecco che “Servant of the Mind” è un altro album possente, con un marchio di fabbrica ben esposto e visibile, una forza travolgente immensa e quel vocalist che, diavolo, non posso non amare! Questo ottavo album, ancora una volta, è un mix di stili, di sonorità, di influenze, di impostazioni, tanto che probabilmente nessuna altra band sarebbe in grado di far stare assieme tredici brani così spudoratamente diversi! Per scaldare i muscoli, l’heavy rock con radice malinconica di “Temple of Ekur”, mentre “Wait A Minute My Girl” già porta lontano, altrove… vero il rock’n’roll… con quel sassofono, con quell’allegria contagiosa! Minacciosa e favolosamente doomy “The Sacred Stones”, puro capolavoro “Shotgun Blues”: un riff talmente ovvio, scontato e probabilmente abusato che qui viene arricchito, potenziato e sparato a tutto volume… con quel maledetto vocalist che sa fare una dannata differenza! “The Devil Rages On” è rock’n’roll, è Elvis, ma in una direzione stranamente moderna… cosa poi cestinata dalla seguente “Say No More”, un brano per headbangers, un brano thrashy… ed una ennesima conferma che Poulsen con quella voce può fare quel che gli pare. Rock moderno, rock alternativo, rock tecnico, heavy metal e un po’ di altre tendenze con “Heaven’s Descent”, mentre si rivela mielosa “Dagen Før”, canzone commercialissima, radio compatibile, probabilmente il potenziale hit NON metal… anche per la presenza della voce sexy di Stine Bramsen, vocalist della pop band danese Alphabeat. Vogliamo continuare a confondere le idee? Bene “The Passenger” sembra un brano degli Offspring… sia per impostazione sonora che vocale…. mentre “Step Into Light” ha un sentore etnico annegato in un rock energetico, pulsante ma anche malinconico. Dal nulla emerge il death metal con clean vocals di “Becoming”, mentre “Mindlock” ha un riff ossessivo, heavy, pesante… ma anche molto melodico. In chiusura (per la versione normale) la contorta e complessa “Lasse’s Birgitta”… ulteriore conferma della creatività eclettica di questi danesi. Non sono solo i brani ad essere diversificati. Non è solo l’apparente assurdità alimentata dal fatto che in questo disco è pieno di roba già sentita, ma riproposta in modo convincente come se fosse nuova: è anche la sequenza dei brani che è stata evidentemente concepita con perverso cinismo, saltando di palo in frasca, dal giorno alla notte… dando vita ad un costante cambio tematico, emozionale, tecnico e musicale! “Servant of the Mind” è quasi un libro di racconti, una raccolta… testi apparentemente sconnessi l’uno dall’altro, probabilmente estremamente diversi tra loro… ma per qualche motivo meritevoli di stare dentro lo stesso libro, tutti assieme, con convincente e coinvolgente espressività!

(Luca Zakk) Voto: 8,5/10